YURERU

Inizia in medias res Yureru, precoce indizio di una disposizione al racconto immediata e lieve, ma contemporaneamente densa di simbologie complesse e intricate. L’abilita nel disinnescare le trappole offerte dai due poli è sempre stata un misterioso dono di molti autori provenienti dall’Estremo Oriente, quasi lo possedessero nel dna.
La trama puo essere sintetizzata con la veloce formula dei due fratelli divisi dall’amore per la stessa donna: già sentito, vero? Eppure, mai come in questo caso, non è tanto il "cosa", quanto il "come" a segnare la discriminante tra una pellicola legata a tematiche amorose prodotta, poniamo in Europa o in Nord America e una realizzata in Paesi come Cina, Corea o - come in questo caso - Giappone.
Yureru conferma questa tendenza utilizzando una trama appena accennata, che riempirebbe invece bellamente qualsiasi film continentale, come lo spunto iniziale di una pellicola i cui snodi narrativi conducono invece a sviluppi totalmente imprevisti epperò fertili di intuizioni feconde.
E dunque quella che parte come la storia di una rivalità per la medesima ragazza, si trasforma sotto i nostri occhi in un confronto/scontro totalizzante tra due esistenze egualmente, anche se diametralmente, segnate dall’infelicità.
La meravigliosa idea del "processo" ai sentimenti (di nuovo, come ne Lo Straniero di Camus, in cui si "condannava" Mersault, colpevole di non aver pianto al funerale della madre, piuttosto che per l’omicidio per cui era imputato) fa letteralmente decollare la seconda parte del film. Le visite al detenuto dietro una vetrata divengono così confronti in cui ciascuno specchia la reciproca insoddisfazione nel riflesso dell’altro.
Regia: Nishikawa Miwa; soggetto e sceneggiatura: Nishikawa Miwa; fotografia: Takase Hiroshi; montaggio: Miyajima Ryuji; musiche: Cauliflowers; interpreti: Odagiri Joe (Hayakawa Takeru), Kagawa Teruyuki (Hayakawa Minoru), Ibu Masato (Cheiko), Arai Hirofumi, Maki Yoko; origine: Giappone 2006;
