2 Autumnes 3 Hivers
Il colore desaturato alla Truffaut, lo sguardo in macchina alla Godard, il pedinamento del reale proprio di Resnais e la crudezza del cinema della Vardas, compongono questo lungo omaggio che Sébastien Betbeder con 2 Autumnes 3 Hivers ha voluto fare alla Nouvelle Vague e ai suoi autori. Un omaggio sentito, genuino, garbato ed umile che mescola stili e prospettive alla ricerca di un linguaggio proprio, maturo, intelligente attraverso il tema universale, tanto caro ai francesi, dell’amore e della complessità dei rapporti di coppia. Stile che non sempre però riesce ad essere personale e che troppo spesso cade nel cerebrale e nel’oblio del citazionismo fine a sé stesso. Se da un lato infatti la storia viene costruita ad incastri, raccontati direttamente dai personaggi all’obiettivo della macchina da presa, cercando di ridare allo spettatore una dimensione sospesa tra il ricordo e l’onirico, dall’altra le parti in cui la sceneggiatura conduce verso un’azione che finisce sempre per essere sempre raccontata e mai mostrata alla lunga finisce per appesantire la narrazione e di conseguenza ad annoiare. Sicuramente una scelta che il regista ha deciso di intraprendere ancor prima di iniziare a lavorare al decoupage tecnico finale della pellicola, ma che alle soglie del 2014 finisce per penalizzare un film che sulla carta poteva e doveva avere lo stesso appeal di alcuni ultimi prodotti transalpini sicuramente più riusciti.
Lo spettatore viene preso e catapultato nella vita di Arman, il protagonista, senza preavviso e senza conoscere nulla di questo bizzarro personaggio, trovandosi a vagare tra i suoi pensieri e quelli della su amata, Amelie, che tra coincidenze, sogni, speranze e paure ci raccontano quanto sia difficile un rapporto di coppia e quante complicazioni la vita porta a dover affrontare una volta che si è deciso di condividere la propria esistenza con un’altra persona. La fotografia volutamente sporca, il quattro terzi retrò e nostalgico, l’abbattimento della quarta parete, sono cose già affrontate e raccontate sicuramente con più originalità e convinzione da chi non voleva solo omaggiare ma aveva qualcosa di personale da raccontare. Qui è l’anima del regista a venire meno troppo spesso, trasformando alcuni dei tre atti scanditi dalle scene sapientemente numerate ed intitolate, in un puro esercizio di stile. Sicuramente un’operazione vintage che nell’epoca del "3D a ogni costo" andava sicuramente riproposta ma che si perde troppo spesso nella contemplazione del proprio ombelico, lasciando lo spettatore meno colto spiazzato ed annoiato.
Incompleto.
(id.); Regia e sceneggiatura: Sébastien Betbeder; fotografia: Sylvain Verdet; montaggio: Julie Dupré; musiche: Bertrand Betsch; interpreti: Vincent Macaigne, Maud Wyler, Bastien Bouillon, Audrey Bastien; produzione: Envie de Tempête Productions, Région Ile-de-France, Centre National de la Cinématographie (CNC), Arte, Région Auvergne, Région Aquitaine; origine:Francia, 2013; durata: 93’.