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Ana Arabia

Pubblicato il 6 settembre 2013 da Giampiero Francesca

VOTO:

Ana Arabia

A pochi chilometri da Tel Aviv, sulle coste del Mar Mediterraneo, si estende la cittadina di Giaffa, luogo di incontro e scontro fra culture, da sempre portò nevralgico della regione. In un quartiere a minoranza araba vaga una giovane giornalista, Yael, originariamente impegnata in un reportage ma ben presto coinvolta in una catena di racconti, storie di un’umanità tanto forte da non poter esser ignorata. Tutto questo è Ana Arabia, del regista israeliano Amos Gitai, fluida messa in scena di quel crogiolo di esistenze che è, oggi, lo stato di Israele.

Poche realtà al mondo sono, per loro natura, tanto ricche di spunti, conflitti, idee, storie, vita quanto quelle dello stato ebraico. Passeggiare per i vicoli di un paese, visitare un insediamento, vivere una città, con lo spirito umile di chi è pronto a vedere ed ascoltare ciò che lo circonda, basterebbe a mostrare spaccati di esistenze straordinarie, carichi di emozioni e passioni, di tragedie e paure. Affrontare, senza pregiudizi o posizione ideologiche, i racconti di vita di una terra tanto divisa e combattuta sarebbe un primo passo per cercare di sanare la sanguinosa ferita che dilania questa terra. È questo lo spirito che anima la protagonista di Ana Arabia, giornalista alla ricerca di una sua verità, imbrigliata nella rete delle mille verità di Giaffa. Ogni incontro, ogni persona, ogni compagno di viaggio aggiungerà, nella sua mente (e in quella degli spettatori) un piccolo tassello per avvicinarsi ad una realtà ormai così complessa da apparire, comunque, indecifrabile. Tallonando i passi di Yael, accompagnando la sua curiosità, condividendo la sua sete di verità, Gitai ci conduce così alla ricerca di quel precario, ma forse ancora possibile equilibrio, così distante eppure così necessaria.

Ana Arabia si muove così su un doppio binario stilistico-sostanziale. La pellicola di Amos Gitai rappresenta infatti il ritorno e un omaggio alla tradizione orale, al racconto parlato, alla forza empatica delle parole. È proprio ad esse che il regista restituisce il compito più importante, quello di traghettare lo spettatore, coinvolgerlo ed informarlo. Lo fa però con un espediente formale, efficace ma quantomai proprio del mezzo cinematografico, il piano sequenza. L’intero film è infatti costituito da una lunga e coinvolgente sequenza che accompagna, pedina, segue e scruta i dialoghi di Yael. Grazie a questa scelta stilistica lo spettatore si ritrova catapultato nelle realtà di Giaffa, perso per le strade della città, completamente avvolto dalla sua atmosfera. Nessun taglio, nessuna pausa formale, nessuna punteggiatura può distrarlo dai racconti scena. Nasce così, quasi da un ossimoro, fra una struttura tanto cinematografica e una sostanza così fortemente orale, una pellicola affascinate, con il pregio, non certo trascurabile, di raccontare le mille sfaccettature di una realtà sulla quale tutti dovremmo esser più informati.


CAST & CREDITS

(Ana Arabia); regia: Amos Gitai; sceneggiatura: Amos Gitai, Marie-Jose Sanselme; fotografia: Giora Bejak; montaggio: Isabelle Ingold; interpreti:Yuval Scharf, Yussuf Abu-Warda, Sarah Adler, Assi Levy,Uri Gavriel, Norman Issa; origine: Israele, Francia 2013; durata: 85’


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