Cannes 2007: Tehilim - Concorso

A seguito di un incidente d’auto, Menahem, ancora stordito, corre in cerca di aiuto per il fratello ed il padre rimasti feriti nello scontro. All’arrivo dei soccorsi, però, l’uomo è misteriosamente scomparso mentre il bambino viene trasferito in ospedale per le lievi contusioni riportate.
Tehilim (il cui titolo riprende i poemi, gli insegnamenti e le meditazioni attribuite a Roi David, testo centrale della liturgia giudaica), se si esclude un prologo puramente introduttivo, parte proprio da qui e, procedendo in linea retta, segue il suo corso raccontandoci la quotidianità di una famiglia improvvisamente chiamata a fare i conti con la perdita della propria guida.
Raphael Nadjari, autore della pellicola, si limita a seguire il lento incedere della vicenda, astraendo la propria regia in un atteggiamento di pura constatazione. Nulla aggiunge nè elimina al puro racconto di una vita che continua ad andare avanti anche se, ormai, del tutto sconvolta. Suo merito è il non lesinare piccoli spaccati del vivere ebraico. La preghiera, momento insieme di studio e di supplica, assume da subito un’importanza preponderante, arrivando sino a lambire ed oltrepassare il limite dell’ossessione. È la figura della madre (la donna, dunque, riveste un ruolo fondamentale, essendo l’unica nel film disposta a sospendere per un attimo ogni reazione, nella consapevolezza che l’illusione non si può confondere con la preghiera) che, rifiutando senza imposizione ma quasi come una legittima reazione organica, di accogliere i tanti ospiti riunitisi per auspicare, con l’aiuto delle sacre scritture, il ritorno del marito, rivendica solamente un attimo di solitudine in cui ricercare la libertà di piangere, di imprecare, di indirizzare il dolore verso una definitiva rielaborazione.
Con lei, e qui si pone il punto focale del film, si scontra il figlio maggiore che sente impellente la necessità di prendere il posto del padre nell’ufficializzazione di riti, manifestazioni di fede, tradizioni che, se nell’occidente restano, al più, blandi motivi di festa, nel rigore dell’ebraismo rappresentano il reale metronomo del vivere giornaliero di una famiglia.
Nadjari riesce con buona disinvoltura a dare forma ai contrasti ed alle diverse reazioni che si creano di fronte ad un lutto che diviene sempre più certo. Racconta, quindi, non solo il processo di maturazione del figlio, che solo alla fine capirà come davanti alla morte un momento di pausa sia lecito, ma anche la contrapposizione tra un mondo patriarcale, fatto di metodo e rigore, ed un universo femminile che, da subito, si mostra più maturo nei confronti dell’ineluttabile, consapevole che solo dalle lacrime è possibile trovare la forza per risollevarsi.
Nella rilettura iconografica di quella che sembra essere una ‘pietà’, Tehilim si conclude discostandosi per nulla dal registro usato lungo tutto il suo incedere, con una immagine di riconciliazione in cui i tre membri restanti del nucleo familiare sembrano finalmente trovarsi per la prima volta davvero insieme a piangere la perdita di un marito e di un padre.
(Tehilim); Regia, soggetto e sceneggiatura: Raphael Nadjari;; fotografia: Laurent Brunet; montaggio: Sean Foley; musica: Nathaniel Mechaly; interpreti: Michael Moshonov (Menhaem), Limor Goldstein (Alma), Reut Lev (Dvora); produzione: Shilo Films; distribuzione: Haut et Court.; origine: Francia, Israele; durata: ‘96
