FESTA DEL CINEMA DI ROMA - AKUMU TANTEI - NIGHTMARE DETECTIVE

Tsukamoto è un regista capace di sorprendere. Nel bene o nel male. Chi si aspettava da lui un film estremo, violento, psicotico o esasperatamente visionario probabilmente avrà modo di meravigliarsi. Lo stupore deriverà dal fatto che il regista giapponese non solo confeziona un film “normale” e addirittura con qualche probabilità di successo commerciale (in Italia), ma riesce anche a conferire all’opera i tratti indistinguibili del suo cinema. Per “normale” non intendiamo affermare che Tsukamoto scrive, dirige ed interpreta una vicenda che non porti in sé quegli aspetti disturbanti che caratterizzano la sua filmografia, ma piuttosto una storia che, seppur intessuta di forti componenti onirico-visionarie e di sequenze (non molte in realtà) di brutale violenza, presenta uno sviluppo narrativo uniforme e compatto.
Una storia apparentemente semplice quindi, quella di una poliziotta che assolda un detective degli incubi che la aiuti nelle indagini per incastrare un personaggio misterioso, chiamato “0”, che sembra indurre alcune persone a togliersi la vita. Un banale horror? Un thriller psicologico? Niente di tutto questo. Tsukamoto, tramite un gioco di citazioni (da Hideo Nakata a Cronenberg, da Wes Craven a Takashi Miike) e di mix di generi cinematografici differenti, costruisce una vicenda intricata e profondamente pervasa del suo stile, seppur caratterizzata da una linearità anomala (se prendiamo ovviamanete come punto di riferimenti i precedenti lavori del regista).
Il cinema di Tsukamoto però va oltre ogni tipo di classificazione. Infatti in un’opera come questa, che apparentemente sembra raccontare solo una storia, sono netti e ben visibili i tratti del suo cinema. L’uomo non è che un concentrato di furia repressa, così splendidamente rappresentata con movimenti isterici della macchina da presa che segue gli aspiranti suicidi; le bocche si chiudono e i cervelli bombardano dall’interno i crani di uomini che cedono sotto le forze oscure e sepolte nel proprio inconscio. Anche i personaggi sono in qualche modo rapportabili al triangolo i cui vertici sono il bene, il male e una donna, che di continuo si scambiano di ruolo rendendo ambigua ogni sequenza. Questa costruzione la troviamo anche in A snake of June (ma anche nei primissimi lavori come ad esempio Tokyo fist): in quel caso la morbosità e la repressione si manifestavano in ambito sessuale e di certo Tsukamoto non si era fatto scrupoli a mostrare il lato più nascosto di ogni essere umano nel modo più brutale possibile, rendendo affascinante il disgusto che si prova nel guardarsi in uno specchio così potente da rivelare ciò che c’è sotto l’apparenza.
Il concetto di morte assume in questo film un carattere duplice: da una parte si avverte la voglia di morire, di fuggire definitivamente da un mondo che sembra disgustare tanto il regista quanto i suoi personaggi; dall’altro la paura dell’ignoto e il naturale, umano, istinto di conservazione. La gloria è nella liberazione dalla vita, ma la paura riesce a schiacciare l’uomo anche quando sa che la morte è la sua unica chance. Cos’è che lo rende così debole, vulnerabile in tal modo da dover fingere di essere qualcun altro per poter dimenticare, o meglio, non pensare? Un passato sepolto, ricordi dolorosi. Tutto tende a ridurre a bestia incontrollabile l’uomo, che ha talmente paura della propria morte, anche se sceglie personalmente di suicidarsi, che è costretto a nutrirsi del sangue e della sofferenza altrui per sentirsi vivo. Persino il finale del film sembra continuare ad alludere a questa duplicità di fondo: non c’è finale per chi rimane in vita, ma solo il proseguimento di una agonia destinata a crescere, nel caso dei film dell’autore giapponese, sotto l’ombra dei soffocanti grattacieli di Tokyo.
Non possiamo affermare né che Akumu Tantei, sia un film geniale in quanto pregno di significato nella sua apparente semplicità narrativa nè che si tratti di un segnale di cedimento stilistico. Ma di sicuro non si può non rimanere affascinati dalla forza espressiva delle immagini e, soprattutto, dalla capacità del regista di saperci introdurre nel suo personalissimo fiume Lete, in cui non solo si avverte l’incoscienza dell’oblio, ma anche la spietata insensatezza dell’essere.
(AKUMU TANTEI) Regia, soggetto e sceneggiatura, montaggio e scenografia: Tsukamoto Shinya; fotografia: Tsukamoto Shinya, Takayuki Shida; musica: Chu Ishikawa; interpreti: Ryuhei Matsuda (Nightmare Detective), Hitomi (Keiko Kirishima), Masanobu Ando (Wakamiya), Shinya Tsukamoto ("O"); produzione: Movie-Eye Entertainment, Kaiju Theater; distribuzione: Minerva Pictures Group; origine: Giappone; durata: 106’.
