FESTA DEL CINEMA DI ROMA - HERBIE HANCOCK: POSSIBILITIES

Il documentario di Jon Fine e Doug Biro è un valido esempio di buon cinema, non tanto per la forma quanto per la forza dei contenuti. Non c’è bisogno di soffermarsi sul fatto che Herbie Hancock sia uno dei più grandi pianisti jazz viventi, quanto piuttosto è importante affermare che il musicista di Chicago, durante la sua lunga carriera, non si è messo in evidenza solo come pianista di Miles Davis o come compositore di colonne sonore (tra cui quella di Blow-up), ma anche come uno dei primi a sperimentare negli anni ’70 le sonorità del moog inserite in un contesto funky (negli anni ’70 i sinth erano legati generalmente al prog rock). La contaminazione di generi, da Rock it alle influenze rap degli anni ’80, portano Hancock alla consapevolezza che in musica non possono e non devono esistere generi musicali chiusi a sé stessi. Un vero musicista non è colui che si limita, sotto forte spinta dei produttori, a produrre sempre la stessa musica, quanto piuttosto colui che sa rinnovare di continuo il proprio linguaggio, mettendo in discussione i concetti di composizione ed improvvisazione e, non meno importante, rimanere sempre aggiornato sulle evoluzioni della musica e della tecnologia legata all’elettronica ed alla post-produzione.
I due registi hanno la brillante intuizione di concentrare il nucleo del pensiero di Hancock in un film che mostra le varie jam session del pianista insieme ai suoi turnisti ed altri musicisti di fama internazionale tra cui Cristina Aguilera, Sting, Brian Eno, Carlos Santana, Trey Anastasio, Paul Simon, Annie Lenox ed una serie di altri artisti di altissimo livello. Il documentario viene ambientato quasi totalmente in studi di registrazione in cui si pongono le basi per l’album Possibilities e allo stesso tempo s’incontrano le idee politiche degli artisti ed approcci musicali di differenti estrazioni. La realizzazione di un album è sempre un’incognita, tanto più in una produzione come questa, in cui si propongono canzoni di generi musicali e influenze totalmente diverse tra di loro ma pur sempre legate dal filo conduttore dell’improvvisazione di stampo jazzistico. Vengono proposte canzoni frutto di splendide jam sessions, ma anche cover di brani di Stevie Wonder e Billie Holiday completamente trasformati nella struttura e nell’arrangiamento.
Cos’è che rende speciale il lavoro di Fine e Biro? Innanzitutto il coraggio di fare un documentario non solo per i musicisti, ma anche per l’ascoltatore comune che non può non lasciarsi attrarre dall’arte della composizione e dall’emozione di un brano eseguito dal vivo. In molti momenti i registi riescono a cogliere con la macchina da presa il feeling che si crea fra i musicisti in sala prove. La musica mette sempre d’accordo tutti: quando si compone è necessario abbandonare i paletti imposti da imposizioni fasulle e lasciarsi andare, dimenticare di avere dei limiti fisici. Fine e Biro, oltre a lasciare liberi gli artisti non invadendo mai il loro lavoro, inseriscono frammenti di un emozionante concerto di Hancock insieme al grande sassofonista Wayne Shorter, abbattendo metaforicamente i muri degli studi di incisione e proiettando lo spettatore in una suggestiva dimensione live.
La musica è veicolo d’idee, strumento di dialogo tra culture differenti, arte che spesso può essere resa anche visivamente. E come non riuscire ad emozionare quando si mostra un musicista al lavoro, specie se di grande talento e creatività come Herbie Hancoch? La musica ha il volto di chi la fa. Ed è una ‘possibilità’. La possibilità di avere un’alternativa alla realtà, di poter isolarsi e fuggire via, anche solo per pochi istanti. Ma nel film si intravede anche la possibilità per i musicisti di esplorare continuamente territori nuovi e soluzioni musicali libere da ogni imposizione. Documentario riuscito pienamente dunque e da consigliare sicuramente a molti sedicenti star della musica e, perché no, a molti insegnanti dei conservatori italiani. Magari anche loro potrebbero sfruttare questa possibilità...
(Id.) Regia, soggetto e fotografia: Jon Fine, Doug Biro; montaggio: Jon Fine, Alison Ellwood; produzione: Alex Gibney, Doug Biro, Alan Mintz, Joana Vincente, Jason Kliot; origine: USA; durata: 92’.
