FESTA DEL CINEMA DI ROMA - L’HERITAGE - THE LEGACY

Gela Babluani, giovane autore che si era già fatto notare a Venezia 62 con il buon film 13 (Tsameti) con il quale ha anche vinto il gran Prix al Sundance festival 2006, dirige insieme al padre Temur una deliziosa tragicommedia ambientata in Georgia, paese natale dei due autori.
Tre ragazzi francesi si trovano nell’ex stato sovietico per firmare documenti relativi ad un’eredità che consiste in un castello in rovina sperduto nell’entroterra georgiano. L’héritage in questione quindi è solamente un pretesto per mettere su una sorta di folle road movie in cui i tre ragazzi, accompagnati da un interprete, si imbattono in assurdi individui tra cui un giovane e suo nonno che si stanno recando (con una bara come bagaglio) nel villaggio in cui l’anziano deve essere giustiziato affinché abbia fine una faida famigliare protrattasi per anni. Una trama semplice ed efficace che ci conduce nella Georgia nascosta attraverso un viaggio in cui rimangono le impressioni delle tradizioni popolari. Musica, balli, folklore e fiumi di vodka accompagnano i viaggiatori durante il loro lentissimo spostamento.
Il risultato del film è un collage di foto di una Georgia in cui la legge è un concetto aleatorio. Ma i due registi non percorrono la strada della critica, quanto piuttosto adottano una narrazione caratterizzata da una leggerezza di fondo che si discosta dai toni cupi di 13 (Tsameti). Nel film precedente di Gela Babluani infatti, il tema della morte era stato affrontato con forte drammaticità: l’idea di un uomo in balia del destino e l’estrema fragilità dell’essere umano erano resi efficacemente tramite la metafora della roulette russa. In L’héritage i due autori insistono inizialmente sull’eroismo del sacrificio per poi ritornare di nuovo alla consapevolezza della tragicità del caso, ma senza sentire la necessità di indurire troppo il racconto.
L’impressione che abbiamo di fronte ad un paese che fatica a camminare sulle proprie gambe, in mano a trafficanti, ladri, imbroglioni ed ubriaconi è stemperata dalla naturalezza con cui viene affrontato l’argomento. Non è mai superficiale lo sguardo sulla situazione fra i paesini delle montagne georgiane, ma anzi è proprio tramite una narrazione scorrevole che si finisce per accettare e giustificare la mentalità della popolazione locale. Tramite questa riflessione si giunge al nodo centrale del film: i ragazzi francesi, ossessionati dall’idea di fare una sorta di reportage della Georgia, riprendono ogni personaggio ed ogni luogo che si trovi sulla loro strada. L’idea di visitare il castello ereditato viene via via sostituita da quella di filmare l’esecuzione, da loro giudicata un atto di estrema inciviltà. L’héritage si manifesta un’opera ben concepita soprattutto nelle sequenze in cui si avverte questo comportamento tipicamente occidentale: i francesi giudicano e pretendono di voler interferire in una pratica molto comune che, anche se brutale ed inutile come confermato persino dai “giustizieri”, è pur sempre tradizione che né stato né polizia locale sono in grado di contrastare. Ma oltre ad insistere sul tema della “democrazia forzata”, i due autori si soffermano sulle idee sballate di un occidente, simbolicamente rappresentato con l’uso delle telecamere digitali dei giovani francesi, che guarda ma non vede, che sente ma non ascolta.
Per quanto alcune tematiche siano simili a quelle del film che tanto piacque alle Giornate degli Autori di Venezia 62, Gela Babluani e padre non parlano del loro paese con toni di aspra polemica, ma con la dignità di persone facenti parte di un popolo fiero delle proprie radici e stanco delle usanze che in qualche modo ne danno un’immagine sgradevole e distorta. In bilico tra commedia e tragedia, L’héritage è un delizioso esempio di come il cinema possa essere veicolo di comunicazione tra culture differenti oltre che un modo per riflettere sulle delicate problematiche mai risolte di un paese che, dopo l’indipendenza, non ancora è riuscito a risalire la china.
(Id., The legacy) Regia: Temur Babluani, Gela Babluani; sceneggiatura: Sabine Bauchart; fotografia: Tariel Meliava; montaggio: Gela Babluani, Noémie Moreau e Anita Roth; scenografia: Xmaladze Temu e Claude Billois; costumi: Kathuna Tsrakaya ; interpreti: Sylvie Testud (Patricia), Stanislas Merhar (Jean), Pascal Bongard (Nikolaï), Olga Legrand (Céline), George Babluani (Il giovane), Leo Gaparidze (Il nonno); produzione: Les films de la Strada, Quasar Pictures; origine: Georgia, Francia; durata: 85’.
