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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - Love and Dance - Sipur Hatzi - Russi

Pubblicato il 18 ottobre 2006 da Giampiero Francesca


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - Love and Dance - Sipur Hatzi - Russi

La scelta di dedicare un’intera sezione, Alice nella città, al fine di avvicinare il cinema ai giovani appare una scelta lodevole e necessaria. E’ però ovvio che, proprio per coinvolgere i ragazzi in sala, i film presenti nella rassegna debbano possedere un’impronta comune, debbano essere pellicole di facile lettura. Love and Dance dell’israeliano Eithan Anner è, da questo punto di vista, emblematico. In estrema sintesi la pellicola può definirsi un Billy Elliott in “salsa Kosher”. Nonostante i tentavi di Anner di raccontare “la storia di una coppia” e non, come nel caso del film inglese, “il talento e l’individualità”, Love and Dance somiglia per struttura, immagini, sviluppo narrativo al film di Dodry. Semmai la pellicola israeliana si differenzia dal predecessore per il contesto e i contenuti sottesi alla trama. In primo luogo a prendr le distanze dal precedente è, per forza di cose, l’ambientazione. L’idea dello Stato d’Israele, scevra di preconcetti e messa sotto i riflettori illumina una realtà profondamente diversa da quella che traspare dai nostri telegiornali. Un paese pieno di conflitti sociali, di scontri e difficoltà anche fuori dal contesto del conflitto con la Palestina. In particolare Anner pare avere particolare premura nel sottolineare il crescente contrasto fra gli immigrati russi e gli abitanti autoctoni. Fra gli anni ‘60/’70 un milione e mezzo di emigrati provenienti dall’Unione Sovietica hanno attraversato i confini di Israele e oggi, a quarant’anni di distanza, quei conflitti si palesano in modo violento. L’umanità raccontata in Love and Dance è un insieme di uomini, donne, ragazzi e bambini alla continua ricerca di affetto e tranquillità. Obiettivi questi irraggiungibili. In secondo luogo il film mette in scena un’attenta riflessione “sull’essere e l’apparire”. Nella società odierna l’importanza assunta dalla riconoscibilità, dalla fama supera nell’ordine di valori l’essenza stessa delle persone. Nathalie, una delle ragazzine del film, esprime emblematicamente questo concetto quando afferma di “non riuscire a vedersi, a riconoscersi” proprio perché ignorata da amici e parenti. Nonostante gli specchi riflettano la sua immagine e le sue mani carezzino il viso la bambina perde coscienza di se nel momento stesso in cui viene ignorata dagl’occhi altrui. Il grido d’aiuto della ragazza non è solo il desiderio, ovvio e condivisibile, di affetto di una figlia verso i propri genitori ma anche la sintesi di un problema sociologico. In un mondo in cui bisogna esser visti, riconosciuti, apprezzati non esser guardati neanche dai pareti più prossimi, dai propri amici equivale a perdere la propria identità. L’occhio altrui, nella mente di Nathlie, si fa specchio perenne della propria immagine, della propria individualità. Chi si è dunque se nessuno ci vede?

(Sipur Hatzi - Russi) Regia: Eitan Anner; sceneggiatura: Eitan Anner; fotografia: Itzik Portal; montaggio: Tali Halter-Shenkar; scenografie: Avi Fahima; costumi: Laura Sheim; musiche: Jonathan Barghora; produzione: Bleiberg Entertainment; interpreti: Evgenya Dodina (Yulia), Avi Kushnir (Rami), Oksana Korostyshevskaya (Lena), Kirill Safonov (Roman), Vladimir Volov (Chen), Valeria Voevodin (Natalie); origine: Israele 2006; durata: 90’


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