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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - PLAYING THE VICTIM

Pubblicato il 21 ottobre 2006 da Matteo Botrugno


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - PLAYING THE VICTIM

Essere o non essere? Questo è davvero un grosso problema per Valya, il giovane protagonista del secondo lungometraggio di Kirill Serebrennikov, regista teatrale molto apprezzato in patria. Il film è un personalissimo riadattamento dell’Amleto di Shakespeare, nonché rifacimento di Representing the victim, commedia diretta dallo stesso regista e premiata al Festival teatrale di Edimburgo.
Il lavoro di riadattamento di un’opera celebre e spesso utilizzata come fonte di ispirazione è un processo complesso che frequentemente può rivelarsi insipido e fine a se stesso. Il regista russo, nel trattare la storia di un ragazzo “addetto” a recitare la parte della vittima nelle ricostruzioni degli omicidi, si libera dal peso della fedeltà all’opera shakespeariana pur mantenendo un profondo senso di tragicità, totalmente trasposto in un XXI secolo caotico e disorientante. Gli ambienti squallidi in cui si svolge la vicenda, le problematiche moderne, la lontananza da tutto ciò che riguarda una qualsiasi forma di civiltà evoluta sono tutti indizi che rivelano quanto sia ancora attuale l’opera del drammaturgo inglese e, allo stesso tempo, quanto sia necessaria una riflessione su una generazione allo sbando. Il dubbio esistenziale di Amleto si manifesta solo tramite la forza delle immagini e le straordinarie capacità interpretative del protagonista, Yuri Chursin. Il film in sé è l’emblematico punto interrogativo posto al termine del quesito che Amleto pone a se stesso. Il quasi trentenne Valya però è un personaggio scosso dal ciclone degli eventi e non riesce a trovare la chiave per liberarsi da quell’amletica follia che lo imprigiona. Chi è Valya? Uno dei tanti ragazzi schiacciati dalla famiglia (la madre, lo zio e lo spettro del padre), simbolo di una generazione marcia tanto quanto la sua. Ma non solo. Il giovane, vittima e carnefice allo stesso tempo, si trova costretto a fare i conti con tutte le problematiche legate al nostro secolo, che sembrano essere scaturite da un’unica sorgente: la noia. Nauseato dal vivere, il protagonista si lascia trascinare da un vuoto esistenziale scomposto, attimo dopo attimo, in una serie di sequenze in cui il senso della vita appare inconsistente quanto la sua apparenza.
Valya, come Amleto, è tormentato dallo spettro del padre tanto che decide di indagare sul rapporto tra la madre e lo zio. Fa cornice intorno al quadro familiare un’Ofelia totalmente snaturata dalla sua carica poetica e drammatica, tanto da assumere i connotati di una donna lamentosa e priva di qualsiasi forma di dignità. Parallelamente alle vicende di famiglia, il film (ri)costruisce, tramite un disinvolto passaggio da pellicola a digitale, quegli omicidi in cui il ragazzo si ritrova a “morire” in continuazione, a rappresentare l’Altro, oltre ad essere spettatore assonnato delle piccole tragedie quotidiane delle persone intorno a lui. Memorabile il monologo del capo della polizia, che inveendo contro la nuova generazione inerte e annoiata, diventa il simbolo del caos, delle tensioni sociali, di un’utopia che si risolve in un grido di rabbia solo apparentemente superficiale. La poliziotta che riprende le ricostruzioni sperimentali degli omicidi e la paradossale ’finta’ giapponese, rappresentano ulteriori campioni utilizzati dal regista per arricchire la sua visione pessimistica della vita moderna.
Come già accennato in precedenza, Playing the victim si svolge su diversi piani narrativi che, oltre ad assumere una valenza simbolica, evidenziano anche l’eccezionale eclettismo stilistico di Serebrennikov. Il film ha in sé sia la forte pittoricità tipica del cinema russo evidente specialmente nei momenti visionari, che nell’annullamento stesso del senso di bellezza formale, come dimostrato dagli assurdi interventi con disegni in china animati. Il gioco dei passaggi tra macchina da presa e digitale si rivela efficace in quanto, a modo suo, il film rivela il bisogno di una riflessione sul cinema come rappresentazione del reale, in cui la realtà stessa risulta a sua volta una ricostruzione fittizia. Se il cinema diventa quindi una ripetizione della vita (o della morte, come in questo caso), l’influenza teatrale del regista si fa sentire soprattutto nei momenti in cui Valya è chiamato ad interpretare la parte di se stesso, come se fosse su un grande palcoscenico, nei folli show personali che trasudano nevrosi repressa e confusione mentale. Notevole quindi è anche il passaggio tra luci naturali e illuminazione prettamente teatrale che non solo conferisce un carattere surreale all’opera, ma rafforza ancor di più l’ibrido risultante da tali contaminazioni stilistiche. La vita è finzione? O forse la rappresentazione della tragedia umana, seppur trattata in chiave grottesca, diviene automaticamente vita? Cosa vuol dire essere umano, o semplicemente essere un umano, quando l’uomo stesso è costretto a nascondersi dietro una maschera (di coniglio)?
Gli interrogativi al termine di Playing the victim sono numerosi e l’idea di affrontare lo spettacolo tragicomico della vita tramite un atteggiamento scevro da qualsiasi imposizione formale e contenutistica si rivela azzeccato. Serebrennikov compie l’impresa titanica di far confluire cinema, teatro, letteratura e riflessione sulla soffocante quotidianità in una splendida perla che non solo arricchisce la Festa del cinema di Roma, ma che si rivela anche la più preziosa. All’inizio del film l’autore fa dire al suo personaggio: “Il cinema russo è nella merda”, come per volersi discostare da produzioni recenti che infangano la gloria di una cinematografia così prestigiosa. E ci riesce in pieno con un’opera geniale che meritatamente si aggiudica il primo, storico, Marco Aurelio d’oro.

(Izobrajaya Zhertvy) Regia e soggetto: Kirill Serebrennikov; sceneggiatura: Presnyakov Brothers; fotografia: Sergey Mokrizky; montaggio: Olga Grinshpun; musica: Alexandr Manotskov; scenografia: Valery Arkhipov; interpreti: Yuri Chursin (Valya), Anna Mikhalkova (Lyuda), Vitaly Khaev (Captain); produzione: New People, Vega Production; origine: Russia; durata: 96’.


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