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FRESH AIR - FRISS LEVEGO

Pubblicato il 24 maggio 2006 da Salvatore Salviano Miceli


FRESH AIR - FRISS LEVEGO

E’ l’incomunicabilità il nucleo concettuale di questo interessante esordio, selezionato a Cannes per la Semaine de la Critique e ripresentato ora al XI RomaFilmFestival. Agnes Kocsis firma un’opera rarefatta e contemplativa, dove sembra impossibile per gli individui salvarsi dalla propria solitudine. Viola e Angela, madre e figlia, sono i due poli gravitativi del film. Viola è una bella donna che lavora come custode di una toilette pubblica. E’ sola, e cerca un uomo tra annunci sui giornali e incontri di cuori solitari. Angela ha diciassette anni e vuole diventare stilista. Non sopporta la madre (odia l’odore del bagno pubblico e dei deodoranti che si porta addosso, odia la sola presenza di lei) e si segrega in camera per evitarla. S’incontrano soltanto sul divano, per guardare la loro serie tv preferita, La Piovra (Michele Placido è il sogno proibito di entrambe). Un giorno Angela scopre che la madre cerca uomini sugli annunci dei giornali.
La Kocsis racconta questa storia di silenzi con una regia neutra, algida, quasi documentaristica per come mette in evidenza soltanto ciò che accade. Non scava mai sotto la superficie, non entra all’interno dei personaggi e delle situazioni. In questo modo lascia insoluti diversi passaggi narrativi (la questione del padre, ignorata del tutto, i recessi profondi della psicologia di Viola), finendo così per creare un’atmosfera sospesa, dove appunto la storia non conta quanto contano i gesti, e le parole sono prive di una specifica rilevanza. In definitiva, la regia mantiene le distanze. La Kocsis non calca mai la mano sulla tragicità delle situazioni e sulle passioni nascoste dei personaggi (i primi piani sono aboliti), ma anzi costruisce un distacco palpabile e allo stesso tempo aereo dagli eventi e complessivamente da tutto quello che vediamo sullo schermo. Se in questo modo si riduce la portata drammatica della storia, è invece amplificata la forza della descrizione del rapporto nucleare di Viola e Angela. Il film - probabilmente è questo il primo dei suoi intenti - riesce efficacemente a tratteggiare quest’atmosfera di impenetrabile afasia (come fosse tutto calato nell’acquario che compare più volte nel film), e allo stesso tempo sa generare nello spettatore aspettative, ansie e domande. Si cerca un’esplosione, una svolta che faccia uscire madre e figlia da questa situazione soverchiante e irrespirabile. E in effetti questa svolta si presenta più volte, sotto diverse forme (è la scatola con le lettere degli spasimanti di Viola rovesciata in terra, è la fuga di Angela in Italia). Ma alla fine nessuna evoluzione si concretizza, e anzi ogni metamorfosi è frustrata proprio dalla stessa incapacità di comunicazione: Viola e Angela non sanno affrontare la verità e parlare delle lettere; e Angela non riesce ad arrivare in Italia proprio perché incapace di esprimersi. Solo la trasformazione che avviene nel finale si concretizza.

Viola e Angela sono due mondi a sé stanti (visivamente raccontati dai colori che le contraddistinguono, rosso per la madre e verde per la figlia) ma straordinariamente simili.
Se pure entrambe sono chiuse in quella solitudine che le accomuna, la figlia si mostra in qualche modo più empatica con lo spettatore. I suoi sogni, i suoi desideri, le sue relazioni sono intuibili, seppure a volte ambivalenti, confusi e sommersi. La madre invece - rivive in lei qualcosa della pianista di Haneke - tiene serrato dentro di sé un oscuro bagaglio di cui non sappiamo nulla. La radice della sua solitudine ci è preclusa e i meccanismi del suo comportamento restano in fondo impenetrabili. Noi non la comprendiamo, la figlia nemmeno. Non sono chiari i suoi desideri (le uniche volte che la vediamo avere contatti con uomini li rifiuta o semplicemente si allontana da loro). Per questa sua inviolabile distanza la figura della madre assume quasi il carattere del monito, la forma incorporea della metafora: la vera lotta che Angela affronta è quella per l’aria fresca, per un nuovo spazio e una prospettiva che la salvi dal destino di Viola. Lei fugge dal futuro di solitudine che la madre le palesa ogni giorno al suo ritorno, con quell’odore di bagni pubblici e deodoranti.
E’ proprio questo il punto che affronta la silenziosa conclusione del film. Angela si affaccia finalmente alla sua nuova identità. Nella lunga sequenza finale assistiamo proprio al rito della sua trasformazione.


CAST & CREDITS

(Friss Levego) Regia: Agnes Kocsis; sceneggiatura: Andrea Roberti, Agnes Kocsis; fotografia: Adam Fillenz; montaggio: Tamàs Kollànyi; musica: Bàlint Kovàcs; interpreti: Izabella Hegyi, Júlia Nyakó, Anita Turóczi, Zoltán Kiss, Béla Stubny, Miklós Nagy; produzione e distribuzione: Kmh Film; origine: Ungheria, 2006; durata: 109’


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