Gran Premio della Giuria A Mogari No Mori
Tocca alla terra contenere nel proprio eterno abbraccio il corpo dell’uomo ormai privo di vita. E la natura tutta sembra portare la voce della defunta moglie alle orecchie di Shigeki, nella sua piccola casa di riposo dove trascorre una senilità ormai provata dai segni inconfondibili della demenza. Solo Machiko, la sua giovane badante, anch’essa colpita da una perdita, appena suggerita all’inizio ma che diviene ben presto palese nella parte centrale del film, sembra lentamente rendersi conto di questo richiamo prima disperato, poi impetuoso, sino ad esaurirsi nella lirica di un impossibile rincontro.
Naomi Kawase parte da un suo ricordo d’infanzia (la demenza senile della nonna) nel raccontare Mogari No Mori. Il film cuce la sua narrazione in sequenze aperte, passaggi obbligati di una struttura visiva sempre più mistica, che abbandona dopo poco la realtà urbana, le strade, le case, per immergersi in un viaggio all’interno della grande foresta della regione di Tawara, ad ovest del Giappone; un percorso di astrazione della fisicità umana che si risolve in una dissoluzione materica e spirituale nel suolo, nell’acqua, nel fango, sotto lo sguardo prima severo poi sempre più misericordioso di una vegetazione libera da qualsiasi costrizione umana.
Bello il modo in cui la regista interpreta e rappresenta la demenza del vecchio Shigeki. Sottraendola all’ineluttabilità della consunzione cerebrale e fisica cui il corpo umano è soggetto, parrebbe provenire solamente dalla consistenza di un lutto mai assimilato, da un’assenza forzata con cui è possibile comunicare solo rifiutando l’oggettività del reale, smontando il geometrico scorrere del tempo; sino a rendere verità persino un contatto che la regista affida prima al suono di un pianoforte, poi ad una danza che evapora nelle prime ore del mattino, tra il sole che si fa strada a fatica nella fitta parete di foglie e rami che la foresta gli oppone.
Mogari No Mori è, dunque, un film che parte dal reale per suggerire una dissoluzione nel metafisico, che si muove seguendo i passi di una narrazione costretta a rallentare per lasciare che la spiritualità trovi il suo naturale incedere, con immagini puramente descrittive e che nella descrizione conducono verso la verità della pellicola; una verità fatta di piccoli segni, di simboli quasi nascosti che la regia della Kawase , quasi non volesse offenderli con uno sguardo troppo insistito, si limita ad accennare o, meglio, a suggerire.
Il film affascina pur non risultando straordinario. Nonostante la materia trattata, forse una secchezza maggiore, un migliore uso di uno stile che resta, in ogni caso, molto personale, avrebbe regalato superiore incisività ad una pellicola comunque di buon livello.
(Mogari No Mori) Regia, soggetto e sceneggiatura: Naomi Kawase; fotografia: Hideyo Nakano; montaggio: Yuji Oshige; suono: Shigetake Ao; interpreti: Shigeki Uda (Shigeki) Machiko Ono (Machiko), Makiko Watanabe (Wakako); produzione: Kumie Inc, Naomi Kawase; distribuzione: Haute t Court; origine: Giappone, Francia; durata: ‘97;