HONOR DE CAVALLERIA

Un progetto quantomai ambizioso questo Honor de cavalleria di Albert Serra, rivisitazione, o meglio libero adattamento, del Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes. Ambizioso perché sfida, con una messa in scena che nulla concede alla spettacolarità, con la lucida scelta di incentrare la narrazione sul rapporto tra Don Quijote e Sancho, rapporto fatto di silenzi, di contemplazione, di deliri lirici rivolti a Dio e al mondo naturale della campagna spagnola dove il film è ambientato, il gusto e alle abitudini degli spettatori.
In una sala che troppo velocemente comincia a svuotarsi, tra risate di scherno e disapprovazione, il film procede coerente con le scelte del regista. Sullo schermo si succedono giorno e notte che senza l’appoggio di luci artificiali lascia, per lunghi tratti, intravedere solo ombre i cui contorni sfumati vengono appena lambite dal chiarore lunare. Allo stesso modo, il suono, in presa diretta, si limita spesso ad echi lontani. Eppure lo sforzo di concentrazione cui il film costringe non è affatto vano.
Nell’analisi del rapporto tra i due epici personaggi si scontrano superbia e semplicità, idealismo e pura concretezza sull’onda di una incomprensione inesorabile che, però, non esclude la profondità e la sincerità di una relazione tra spiriti pur differenti ed intrinsecamente lontani.
Non c’è volontà da parte del regista di procedere seguendo un ordine logico bensì di entrare a fondo dentro l’anima dei suoi protagonisti. Impossibile, dunque, seguire uno sviluppo cronologico. Il tempo, come lo spazio, astraggono i propri confini in nome di un paradossale ma necessario realismo visivo esasperato. Prendendo come modello il Rossellini de Francesco, Giullare di Dio ed il Pasolini de Il Vangelo secondo Matteo, il giovane cineasta, in gara per la Camera d’Or, firma una pellicola dal sapore volutamente rarefatto, che certo non è possibile definire del tutto risolta, perché molti sono i passaggi che risultano privi di sufficiente compiutezza, ma che, nei suoi novanta minuti, mette in mostra uno stile che pur necessitando ancora di una naturale maturazione linguistica, interessa ed emoziona per alcune soluzioni formali di forte impatto evocativo.
L’uso di attori non protagonisti ma dai tratti somatici estremamente espressivi (anche questo è un chiaro omaggio al grande Pasolini) alimenta il rifiuto di un cinema palesemente di fiction, rafforzando uno smarrimento che il ricorso violento ad una forma lirica di rappresentazione conduce all’estremo. È un film che matura lentamente negli occhi e nella mente degli spettatori, un breve discorso su di un cinema altro, lontano da formule canoniche e spesso ripetitive, lasciando, però, tracce ben profonde anche se mai esasperate, proprio come le suggestioni, sempre al limite tra evocazione e nascondimento, che la pellicola suggerisce con estremo pudore.
Un esordio, questo di Albert Serra, non convenzionale, ma che colpisce.
(Honor de Cavalleria) Regia: Albert Serra; soggetto: dal romanzo El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes; sceneggiatura: Albert Serra, Jimmi Gimferrer, Montse Triola; fotografia: Christophe Farnarier; montaggio: David Gallart; musica: Ferran Font, Cristian Vogel; scenografia: Jimmi Gimferrer; interpreti: Luis Carbò (Don Chisciotte), Luis Serrat (Sancho Panza); produzione: Andergraun films, Luis Minarro, Adolfo Bianco; distribuzione: Notro Films; origine: Spagna; durata: ‘102;
