IDA
Dal buio della sala compare uno splendido bianco e nero in formato 4:3. Le luci fioche delle candele sparse all’interno di un piccolo convento illuminano appena il giovane e limpido viso di alcune novizie intente a pregare poco prima di consumare un frugale pasto. Tra di essi spicca quello di Anna, volto di donna appena fiorita, dagli occhi puliti ed ingenui pronti a scoprire il mondo eppure già convinti di rinunciare a tutto pur di seguire l’unica via che le è stata mostrata: quella della fede. La madre superiora però non vuole che ella prenda i voti senza prima conoscere la storia della propria famiglia e decide quindi di mandarla a casa di sua zia, Wanda Gruz, sperando che tale esperienza possa donarle maggiore consapevolezza riguardo al percorso che sta per intraprendere. Inizia così il viaggio di Anna/Ida alla scoperta delle proprie origini, del dramma che ha condizionato la sua esistenza quando era in fasce e che, inevitabilmente, continua a condizionarla a distanza di quasi vent’anni.
Un film perfetto da ogni punto di vista. Una fotografia folgorante, fatta principalmente di inquadrature fisse ideate e composte come i quadri di una chiesa. Quadri che non vanno mai ad aggiungere troppi orpelli ai bellissimi e intensi primi piani delle due protagoniste. La sceneggiatura è asciutta e con dialoghi ridotti all’osso, in cui ogni campo e controcampo muto dice più di quanto qualsiasi parola avrebbe mai potuto dire. Gli occhi sono i padroni dello schermo: quelli degli interpreti, intensi e pieni di ogni tipo di emozione e quelli degli spettatori rapiti ed indirizzati con leggiadria verso composizioni impeccabili, in cui anche le inquadrature tagliate e quelle con troppa aria sopra la testa degli attori acquisiscono un significato talmente alto da essere puro spettacolo con il quale riempirsi le pupille e ricolorare il proprio iride.
In Ida vengono riportati con intelligenza e originalità tutti gli assunti cardine della condizione umana senza mai forzare il pensiero di chi guarda: filosofia, sociologia, religione, tutto sintetizzato e ricomposto in ottanta minuti di pellicola per mostrare una storia dalla struttura semplice ma dall’animo di una complessità disarmante. Bisogna spogliarsi di tutti gli orpelli che la vita ci impone per entrare in sintonia con lo sguardo di Ida e lasciarci trasportare nel suo mondo di silenzi e devozione. Una devozione nata in maniera non spontanea e che, man mano che la vita esterna al convento si fa strada tra le esperienze della giovane donna diventa sempre più complessa e confusa, facendo così cadere idee e convinzioni.
Un film in cui la religione diventa un pretesto per aprire a tantissime altre riflessioni che esulano dalla religione in sè e vanno a toccare corde molto personali e contemporaneamente universali e per un attimo sullo schermo ci è sembrato di rivedere il cinema di Krzysztof Kieslowski... e l’emozione è stata davvero fortissima. Emozione che consigliamo di non perdere assolutamente, visto che il film verrà presto distribuito in Italia dalla Lucky Red.
(id.); Regia: Pawel Pawlikowski; sceneggiatura: Rebecca Lenkiewicz, Pawel Pawlikowski; fotografia: Lukasz Zal; montaggio: Jaroslaw Kaminski; musiche: Kristian Selin Eidnes Andersen; interpreti: Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik; produzione: Opus Film e Phoenix Film Investments; distribuzione: Lucky Red; origine: Polonia/Danimarca, 2013; durata: 80’.