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Inju, la bête dans l’ombre - Venezia 65 - Concorso

Pubblicato il 30 agosto 2008 da Salvatore Salviano Miceli


Inju, la bête dans l'ombre - Venezia 65 - Concorso

Dopo il successo ottenuto nel 2007 con L’avvocato del Terrore, documentario presentato a Cannes, Barbet Schroeder cerca nuova linfa e nuova fortuna critica e di pubblico, dopo alcuni passaggi a vuoto, andando a realizzare il suo nuovo film, Inju, la bête dans l’ombre, in Giappone. Torna al cinema di finzione il regista cercando, ma non è una novità, un equilibrio dentro i rigidi e affascinati confini del cinema di genere. Il suo poliziesco / thriller segna l’incontro tra due diverse tendenze. Da un lato c’è l’istinto di lasciarsi trasportare dalle lusinghe di un racconto crudo e cruento, dall’altro la ricerca di uno stile che renda la narrazione il più possibile liminale alla dimensione onirica. Proprio nei sogni del protagonista, Schroeder ci consegna le chiavi di volta necessarie per la sua definizione come personaggio.
Alex Fayard è un autore di romanzi polizieschi di successo. Invitato in Giappone per un tour promozionale del suo ultimo romanzo, entra in contatto con una geisha minacciata di morte da uno dei suoi ex amanti. Potrebbe trattarsi di Shundei Oe, autore molto amato in patria per il suo stile violento e dissacrante, di cui Alex è un fervente lettore oltre che emulo / doppio. Aiutando Tamao, questo il nome della geisha, il protagonista si trova al centro di una escalation di violenza sino ad arrivare ad un epilogo che chiarirà un enigma la cui risoluzione si intuisce abbastanza facilmente già prima della sua effettiva manifestazione.
Come detto, il film si muove sui binari oscuri della compenetrazione tra finzione e verità provocando una percezione distorta in cui solo in parte si riescono a distinguere dettagliatamente le sequenze sognate da quelle reali. Schroeder lavora e si confronta con lo scrittore culto giapponese Edogawa Rampo la cui morte, nel 1965, non ha frenato il successo dei suoi romanzi (nel 2005 è stata realizzata una raccolta di quattro episodi girati da quattro diversi registi dal titolo Rampo Noir ispirata ai suoi racconti). Quello che manca alla pellicola è l’atmosfera dei libri di Rampo, quel suo perdersi tra scenari estremi in cui sesso e feticismo trovano terreno fertile. Inju, la bête dans l’ombre si configura, invece, come puro esercizio di stile, attaccato agli stilemi del genere ma privo della necessaria anima, accettando di non mettersi mai in gioco sino in fondo e annullando qualsiasi voglia di rischiare. Viene fuori, quindi, un didascalico gioco manieristico che come spesso accade sfocia in acque un po’ troppo noiose. Le sequenze più spinte restano lontane da qualsiasi esasperazione visiva giocando più ad evocare che non a mostrare. La fotografia del nostro Luciano Tovoli è assai elegante ma si mette al servizio di un plot che non riesce mai a decollare.
Terzo film presentato in un concorso che a parte l’exploit di Kitano ed il discreto The Burning Plain, esordio alla regia di Guillermo Arriaga (sceneggiatore, prima della separazione artistica, dei film di Iñárritu), stenta ancora ad affermarsi.


CAST & CREDITS

(Inju, la bête dans l’ombre) Regia: Barbet Schroeder; soggetto: tratto dall’omonimo romanzo di Edogawa Rampo; sceneggiatura: Jean Armand Bougrelle, Frédérique Henri, Barbet Schroeder; fotografia: Luciano Tovoli; montaggio: Luc Barnier; musica: Jorge Arriagada; interpreti: Benoit Magimel, Lika Minamoto, Gen Shimaoka, Ryo Ishibashi, Shun Sugata; produzione: Said Ben Said; distribuzione: UGC International; origine: Francia, 2008; durata: 105’


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