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Jay – Venezia 65 – Orizzonti

Pubblicato il 30 agosto 2008 da Luca Lardieri


Jay – Venezia 65 – Orizzonti

Ormai da diversi anni, la televisione ha cambiato il proprio linguaggio, involgarendolo ed impoverendo vistosamente i propri contenuti (quasi del tutto assenti). La cultura, l’informazione trasparente ed anche il sano intrattenimento sono un lontanissimo ricordo, sostituiti da “reality” o simil tali, che si arrogano la presunzione di mostrare al mondo la realtà e che celano in maniera accattivante i veri intenti (share, audience, soldi ecc.) che muovono i loro ideatori, produttori e via discorrendo. Il tutto nel giro di meno di un decennio ha plagiato un’intera generazione e trasformato quelle precedenti, abbassando quasi totalmente la soglia di moralità tollerabile ma soprattutto (cosa ancor più grave) inaridendo i sentimenti delle persone. Ora, cosa accadrebbe se venisse trasformato in spettacolo persino il dolore delle famiglie appena scosse dalla morte violenta di un proprio caro? Fino a che punto si spingerebbe il sadico voyerismo della gente, mettendo in maniera ancor più estrema un concetto tipico di alcune trasmissioni italiane (e non solo) come Verissimo o La vita in diretta e si tendesse a spettacolarizzare e a falsare la realtà con la “realità”? È proprio da questa domanda che parte l’idea di Jay, film del regista filippino Francis Xavier Pasion, il quale attraverso la morte di un ragazzo omosessuale (il Jay che dà il nome al film) mette alla berlina il mondo della televisione e i “giornalisti” che si occupano dei TG e dei programmi di approfondimento. Infatti, dopo averci mostrato un primo quarto d’ora in cui la morte violenta del ragazzo ed il dolore dei suoi cari vengono raccontati come un reportage televisivo, con le varie ricostruzioni e testimonianze, Pasion torna indietro e ci offre una visione completa di come è stato effettivamente girato il reportage. Entriamo così nel mondo della televisione che ci viene presentato come dominato da persone senza scrupoli né sentimenti che pur di riuscire a portare a casa del materiale che possa commuovere e/o divertire la gente, mettono da parte il dolore delle persone e falsificano tutto, facendo ripetere più e più volte delle scene reali e strazianti (ad esempio quella in cui la madre e la sorella di Jay, vanno ad identificare il corpo in obitorio) per renderle più televisivamente accattivanti. Inoltre ci mostra come le vittime (ovvero i familiari) si trasformino in carnefici non appena, trasformati dal meccanismo e lusingati dalla propria effimera voglia di apparire, cominciano ad abituarsi alla loro immagine riprodotta nel piccolo schermo.
Il film pur non partendo da un’idea molto originale e pur risultando eccessivamente lungo e ripetitivo ha degli spunti di regia parecchio interessanti, soprattutto nelle scenette in cui il conduttore televisivo ed il proprio operatore cercano di manipolare la realtà per renderla più interessante (esilarante la ricostruzione dell’inseguimento dell’assassino, trasformata in un poliziottesco anni ’70). Per il resto 90’ minuti di riprese in digitale (di livello non eccelso) risultano piuttosto difficili da seguire e gli attori (specialmente le donne) spesso e volentieri risultano irritanti.


CAST & CREDITS

(Jay); Regia e sceneggiatura: Francis Xavier Pasion; fotografia: Carlo Mendoza; montaggio: Chuck Gutierrez, Francis Xavier Pasion, Kats Serraon; musiche: Gian Gianan; interpreti: Baron Geisler, Coco Martin, Flor Salanga, Angelica Rivera; produzione: Cinemalaya; origine: Filippine; durata: 96’.


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