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Les Terrasses

Pubblicato il 6 settembre 2013 da Giammario Di Risio

VOTO:

Les Terrasses

In realtà il problema non sono le cose, viceversa come si stanno sviluppando e le conseguenze a cui porteranno. In un mondo dove il sonno sfugge ai personaggi, ecco che ci imbattiamo in una vasta gamma di dinamiche umane: c’è chi non si sopporta, chi è vittima di un passato lacerante, chi diventa carnefice del suo stesso sangue, chi non riesce a esprimere il suo amore omosessuale, chi considera la religione l’unica forma di salvezza e chi ha combattuto per l’indipendenza e ora vive, come un cane, in una cuccia.

Algeri. Mentre dal cielo gli elicotteri controllano la città in attesa dell’imminente arrivo del Presidente francese Francois Hollande, ecco che veniamo catapultati in differenti spazi caratterizzati da un unico comune denominatore: sono tutte terrazze. La città, che brulica dal basso con macchine del periodo francese e con le voci fuori campo dei mercati rionali, osserva la parabola di tanti personaggi che attendono il sopraggiungere della notte per ritrovare un po’ di riposo. Allah protegge l’anima ma non può rimettere in ordine i fili emotivi, tesi come le corde del sitar, che si stanno consumando tra passato e presente.

Il tempo della storia è di ventiquattro ore e viene scandito dai totali dei quartieri poveri di Algeri. In questi frangenti, che settorializzano la drammaturgia, ascoltiamo le cinque preghiere della giornata e la voce dell’Imam che fa da battistrada allo svolgersi dell’intreccio. Quest’ultimo è tutto giocato su primi piani, campi medi e macchina a mano, che descrivono le azioni, in montaggio alternato, dei vari personaggi. Il sole e il mare di Algeri non mollano mai il quadro mentre il recupero della memoria, tra indipendenza e terrorismo, ha la sua risoluzione nella catarsi finale, che non risparmierà nessuno. La prospettiva affastellata dei quartieri è illuminata dal sole e la scrittura rimette le cose in “ordine” solo all’ultimo.

Un’opera che ha sorpreso per semplicità e morbidezza, nonostante gli argomenti si prestino a retorica, di fatto qui mai riscontrata, e derive ideologiche, evitate per fortuna dall’inizio alla fine. Allouache è bravo a proporre una critica costruttiva alla società algerina e ai suoi sistemi religiosi, senza puntare il dito, viceversa entrando nelle storie dei suoi personaggi per offrire allo spettatore poesia e violenza, riflessione e libertà. Le terrazze occupate dopo l’indipendenza diventano così luoghi da cui ripartire come il film stesso qui a Venezia, magari con un premio meritato.


CAST & CREDITS

(Es-stouth); Regia: Merzak Allouache; sceneggiatura: Merzak Allouache; origine: Algeria, 2013; durata: 91’;


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