Lo Scafandro e la Farfalla

Raggiunti i 43 anni, Jean-Dominique Bauby, editore di successo della rivista francese Elle, entra in coma per venti giorni colpito da un attacco cerebrale. Al suo risveglio, scopre di essere diventato vittima di una rarissima malattia degenerativa che blocca la totalità dei suoi arti, pur lasciandolo del tutto cosciente. L’unico modo che gli resta per continuare a comunicare è lo sbattere delle ciglia del suo occhio sinistro. Quel breve movimento resta l’unico appiglio alla vita ed alla realtà che lo circonda.
Julian Schnabel parte dal libro, scritto dallo stesso Jean Dominique Bauby, Le Scaphandre et le Papillon per realizzare l’omonimo film. La storia è, inevitabilmente, fortemente drammatica, eppure il regista opera con una leggerezza assai convincente, dando vita così ad un contrasto tra verità e rappresentazione, tra la coscienza della malattia ed il rifugio nei ricordi, che rende il film di una consistenza mai troppo pesante; cosa anomala, e alquanto rara, visto l’argomento.
Lo scafandro del titolo, rappresentato visivamente nella pellicola in metaforiche sequenze subacquee, non è altro che una estrinsecazione per immagini della rigidità imposta dalla malattia in cui Bauby è costretto. Alla sua pesantezza si contrappone la leggerezza di una farfalla, incarnazione dello stesso protagonista nei momenti in cui il sogno prende il sopravvento sul reale, portandolo verso ricordi ormai svaniti, ma soprattutto, verso i ritratti delle donne che ha amato.
Oltre la storia principale, infatti, il film si può leggere anche come un lungo omaggio alla figura femminile. Splendide sono le donne che passano sullo schermo, così come le attrici che le interpretano, ma, soprattutto, tutte sembrano nascondere, chi dietro un sorriso appena accennato, chi con una lacrima, un quid irraccontabile e irraggiungibile, che rende la loro presenza superiore a tutto, e che accompagna il protagonista nel suo sempre più consapevole, ma mai accettato, stato fisico che lentamente inizia a degenerare.
Schnabel lavora bene con la sua macchina. Si limita ad un racconto semplice, ben costruito, senza mai spingere l’acceleratore dell’autocommiserazione. Convince pienamente, poi, anche l’interpretazione di Mathieu Almaric, in un ruolo che sembra fatto apposta per consegnargli il premio di migliore attore del Festival. La sua recitazione non è mai forzata e quell’unico occhio che gli resta da muovere, inserito in un volto contratto dalla rigidità muscolare, comunica pienamente terrore e spavento, ma anche, seguendo la linea narrativa del regista, passione e amarezza, ricordo ed ironia.
Un film, Lo Scafandro e la Farfalla, dunque, che non lascia spazio alla retorica e che possiede più di una chiave di lettura. Un’opera che non delude, lasciandosi alle spalle un sorriso triste.
(Le Scaphandre et le Papillon); Regia e sceneggiatura: Julian Schnabel; soggetto: Tratto dal romanzo omonimo di Jean Dominique Bauby; fotografia: Janusz Kaminski; montaggio: Juliette Welfling; musica: Paul Cantenon; interpreti: Mathieu Amalric (Jean-Do), Emmanuelle Seigner (Celine Desmoulins), Marie Josèe Croze (Henriette Roi); produzione: Pathe Renn; distribuzione: Pathe Renn; origine: Francia, 2006; durata: 112’
