UNITED 93
Come molti dei cineasti più lungimiranti arrivati ad Hollywood negli ultimi anni, anche Paul Greengrass ha scelto di sfruttare le leggi non scritte della più grande industria cinematografica del mondo per poter ottenere lo spessore necessario a realizzare, quando possibile, la propria idea di cinema. Chiamato a dirigere la seconda puntata delle avventure della spia senza memoria Jason Bourne, il regista ha realizzato una pellicola che ha incassato in tutto il mondo quasi 300 milioni di dollari, di cui 176 sul solo mercato americano. Una volta ottenuto dunque, con il pur notevole The Bourne Supremacy, il necessario “potere contrattuale” per poter dedicarsi a progetti a lui più congeniali, Greengrass è tornato a lavorare sul tipo di cinema che più predilige, quello civile intento ad indagare episodi scottanti della recente storia internazionale. Per chi si ricorda il suo spiazzante esordio nel lungometraggio cinematografico, quel Bloody Sunday che vinse a sorpresa il festival di Berlino nel 2002, non sarà quindi una sorpresa trovarlo al timone di United 93, sorta di preziosa docu-fiction che ricostruisce le vicende del quarto aereo dirottato l’11 settembre 2001, il quale invece di schiantarsi sull’obiettivo prestabilito - la Casa Bianca - precipitò in piena campagna in Pennsylvania.
Progetto portato avanti in assoluta indipendenza, United 93 restituisce allo spettatore i migliori stilemi sia della poetica di Greengrass che più in generale del cinema di indagine: la messa in scena si presenta infatti come perentorio concentrato di sobrietà, ed insieme pulsante visione di un momento altamente drammatico, quindi capace di irretire lo spettatore a livello puramente empatico. La grande capacità che il cineasta aveva già espresso in passato è qui restituita in tutta la sua potenza espressiva: macchina a mano che trasmette in pieno il senso di veridicità dell’accadere; musica di accompagnamento ridotta al minimo, e comunque mai enfatizzante i momenti più forti del film; attori pressoché sconosciuti, che non distraggono dalla narrazione con la loro presenza. Pellicola di fortissimo impatto emotivo, United 93 colpisce soprattutto per la sua onestà intellettuale e morale, in quanto non vuole impietosire lo spettatore attraverso la facile spettacolarizzazione di una tragedia, né tanto meno confonderlo con una riproposizione retorica di un determinato avvenimento - come ad esemipo ci sembra stia facendo Olivero Stone con il suo nuovo World Trade Center, di cui abbiamo visto 20 muniti in anteprima a Cannes.
Paul Greengrass non mette in scena un manipolo di eroi che sceglie di immolarsi per salvare la propria patria dall’ineluttabile disastro, ma un gruppo di persone terrorizzate che sceglie di contrattaccare i dirottatori per salvare la propria vita, e purtroppo fallisce nel tentativo. La bellezza del film sta quindi nell’essere racconto di un dramma personale ed insieme collettivo, invece che ambigua glorificazione di un gesto. Coinciso, sintetico al limite della stilizzazione nella sceneggiatura, United 93 riafferma ancora una volta la necessità di un cinema che racconti la drammaticità del nostro presente senza troppi fronzoli, o peggio ancora mistificazioni; il fatto che il botteghino americano abbia premiato tale operazione con un incasso di 30 milioni di dollari, a fronte di un costo di produzione di soli 15, dimostra che il pubblico può essere comunque sensibile, soprattutto quando non viene abbindolato con rappresentazioni parziali o “guidate” di quanto ci succede intorno.
Regia e sceneggiatura: Paul Greengrass; fotografia: Barry Ackroyd; musica: John Powell; montaggio: Claire Douglas, Richard Pearson, Christopher Rouse; scenografia: Dominic Watkins; costumi: Lorraine Carson, Dina Collin, Liz McGarrity; interpreti: Christian Clemenson, Trish gates, Polly Adams, Cheyenne Jackson, Gary Commock; produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Lloyd Levin; origine: Usa/UK/Francia; durata: 111’.