VENEZIA 63: HEIMAT FRAGMENTE
Quasi 25 anni dopo la sua genesi, il grande libro di Heimat, al pari di una sorta di bibbia della storia del novecento tedesco, sembra vedere la sua fine. E come nella migliore tradizione bibliografica il suo cammino si conclude con un’appendice, un vero e proprio compendio destinato agli studiosi, agli esegeti, ai filologi di Reitz e della seconda parte della sua produzione. Che il regista tedesco abbia a suo attivo una ventina di altri titoli, infatti, poco importa: alla storia passerà come l’autore di decine e decine di ore dedicate al più grande affresco storico mai raccontato in una delle più felici contaminazioni tra cinema e letteratura (soprattutto pensando al connubio con Peter Steinbach, meno felice è risultato invece quello con Thomas Brussig in Heimat 3). Archiviato il progetto di una quarta parte, dedicata ai tragici avvenimenti dell’undici settembre attraverso lo sguardo dei suoi personaggi, il 73enne regista durante l’allestimento dell’archivio sulla sua Mammutwerk, come la chiama la stampa tedesca a sottolinearne le proporzioni monumentali e forse anche l’appartenere a qualcosa di regale ma irrimediabilmente destinato a scomparire, ha scoperto altre ore di materiale inutilizzato costituito da centinaia di frammenti, e ha deciso di ricomporlo, dedicandolo alle donne della sua Heimat, da cui sentiva il bisogno di congedarsi in maniera cinematografica. Il sottotitolo recita infatti proprio Die Frauen, introdotte ognuna da una definizione che segna quasi un capitoletto, ma non sono ovviamente solo loro le protagoniste, quanto piuttosto il filo conduttore. A cominciare da Lulu, sul cui sguardo disperato e colmo di lacrime rivolto verso il futuro incerto che il nuovo millennio sembra riservare alla generazione dei trentenni si chiudeva l’ultimo capitolo della trilogia. Lulu, interpretata dall’attrice Nicola Schösser, interpreta qui il ruolo dell’ “archeologa del futuro”, la depositaria della memoria collettiva della sua famiglia, e al contempo colei a cui spetta il compito di inserire le esperienze dei suoi progenitori in un più preciso bilancio storico ed esistenziale, al fine di liberarsi dell’ingombrante passato non solo della famiglia Simon ma di tutta la Germania. Solo così Lulu, e tutta la quarta generazione, figlia del ’68 e dei suoi errori, tenuta al riparo dalla possibilità di intervenire in maniera attiva per cambiare il corso delle cose, può impossessarsi del futuro.
Armata di pala e di trapano, Lulu torna sui luoghi di tutti gli episodi della trilogia, scavando quindi non solo metaforicamente nel passato, e fungendo da tramite per il mosaico dei frammenti, dedicati per la maggior parte a Die zweite Heimat. Senza curarsi più di tanto di seguire un ordine cronologico, Reitz ci riporta al “dietro le quinte” della sua opera, con alterne fortune: se talvolta si assiste a vere e proprie perle, come il ritorno a casa di Eveline o altre brevi sequenze che rifiniscono più compiutamente i personaggi nella seconda parte della trilogia, in altri casi appare invece giustificata la decisione di eliminarle dalla struttura originale in quanto decisamente superflue.
Poco felice è nell’insieme soprattutto la cornice, in cui spesso la connessione con il passato appare forzata negli effetti speciali e nel gioco metacinematografico delle autocitazioni, come il cinema che presenta “la giornata dei film non girati” in cui Lulu entra a vedere alcuni frammenti a loro volta ambientati in una sala cinematografica. Non giova poi alla parte contemporanea l’utilizzo di colori “sintetici” del digitale creando uno stridente contrasto con la pellicola del passato, così come stride la decisione di affidare alla voce over di Lulu riflessioni evidentemente appartenenti al regista e alla sua generazione, minandone così il consueto lirismo dei dialoghi.
Regia e sceneggiatura: Edgar Reitz; fotografia e montaggio: Christian Reitz; musica: Michael Riessler; interpreti: Nicola Schösser, Henry Arnold, Salomè Kammer; produzione: Reitz&Reitz Medien; distribuzione: Arri media; origine: Germania, 2006; durata: 146’