X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



VENEZIA 63: L’UDIENZA E’ APERTA

Pubblicato il 1 settembre 2006 da Matteo Botrugno


VENEZIA 63: L'UDIENZA E' APERTA

Vincenzo Marra approda al Lido dopo il successo ottenuto con il suo primo lungometraggio Tornando a casa, che vinse il premio come miglior film alla Settimana della critica nel 2001. Questa volta torna a Venezia nella categoria Giornate degli autori con un documentario che si presenta come un’indagine sul sistema giudiziario italiano, rivelandosi tuttavia molto di più.
Due giudici e un avvocato penalista specializzato nel difendere individui facenti parte di organizzazioni criminali, si trovano ad affrontare un processo nei confronti di un imputato, sospettato di far parte di un clan camorristico e accusato di omicidio. Il processo durerà circa cinque anni e, alla fine del documentario, non ne conosceremo la sentenza. Molti sono i modi di affrontare un lavoro documentaristico. Si può intervistare, inserire una voce fuori campo o dei sottotitoli che guidino lo spettatore e lo inducano ad arrivare alle stesse conclusioni del regista. Marra invece adotta il metodo dell’invisibilità. Lascia liberi i suoi ‘interpreti’, li fa parlare, e non cerca mai di intervenire influenzando la visione con un eventuale pensiero politico.
Che idea farsi dunque, dopo la visione di un lavoro che fa della frammentazione e di un ricercato senso di confusione la propria forza? Innanzitutto è importante sottolineare che Marra non si limita a mostrare semplicemente le immagini dei processi, ma segue costantemente i giudici e l’avvocato in momenti del loro lavoro che a volte non riguardano affatto il processo, punto di partenza del film. Questa estensione a temi più grandi avviene senza neanche accorgersene. I protagonisti si muovono con naturalezza e spontaneità, tanto da far sembrare che l’occhio inesorabile della macchina da presa sia così nascosto da risultare invisibile. Merito questo del regista napoletano, che presenta uno scorcio di sistema giudiziario, che lascia a dir poco esterrefatti. Le aule rimangono chiuse perché il cancelliere si è dimenticato di aprirle, continui ritardi, fogli di carta volanti contenenti prove ed importanti documentazioni vengono persi, numeri di telefono scritti sui muri degli uffici del tribunale. E c’è spazio anche per ridere. Risate amare ovviamente. In alcuni momenti sembra di assistere alla commedia dell’arte, o a qualche vecchio film di Totò, perché in alcune occasioni si sfiora davvero il grottesco, specialmente nella sequenza in cui i due giudici, un uomo e una donna, discutono di politica, del sistema giudiziario e delle quote rosa, arrivando a mettere in scena un siparietto surreale su quanto siano strozzini gli ebrei, o su quanti siano stupratori i marocchini. Il tutto ovviamente nella sala di consiglio, in presenza della giuria popolare e davanti al tavolino imbandito di pasticcini e panini col salame.
L’avvocato penalista mostra invece l’altra faccia della medaglia, non certo migliore di questa. Approfittando di una simile inefficienza, la difesa può permettersi di contestare qualsiasi cosa. Una volta la presunta non legalità delle intercettazioni telefoniche, un’altra volta invece l’inserimento agli atti di prove dalla provenienza mai ben chiarita. Insomma i processi si dilatano all’inverosimile e la legalità, lentamente, muore.
Vincenzo Marra realizza un lavoro che tira in ballo di nuovo la giustizia italiana, dopo In un altro paese e Il fantasma di Corleone che comunque si focalizzavano sui processi per mafia. Ma resta l’attenzione nei confronti di un sistema marcio dalle più alte sfere che spesso e volentieri sono implicate con la politica, fino ad arrivare all’ultimo degli impiegati. Tutti sembrano non sapere ciò che fare, ogni pretesto diventa motivo di rinvio. E il grottesco si raggiunge quando lo stesso giudice afferma che “la legge non è uguale per tutti”. L’udienza è aperta quindi, ma le porte delle aule rimangono chiuse. E Marra col suo ottimo lavoro, a tratti volutamente poco chiaro (d’altronde nulla è chiaro neanche agli addetti ai lavori!), ci mostra una delle tante lapidi su cui è scritto: giustizia italiana.

(L’udienza è aperta); regia: Vincenzo Marra; sceneggiatura: Vincenzo Marra; fotografia: Mario Amura montaggio: Cristina Flamini; produzione: Vincenzo Marra; origine: Italia, 2006; durata: 75’


Enregistrer au format PDF