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VENEZIA 63: MUSHISHI

Pubblicato il 8 settembre 2006 da Giampiero Francesca


VENEZIA 63: MUSHISHI

Chi o cosa sono i “Mushi”? Che relazione hanno con gli esseri umani? Chi è in realtà “Ginko”? Gli appassionati di Mushi-shi, manga di Yuki Yoshiyama dal quale è tratto l’omonimo film firmato Katsuhiro Ôtomo, avranno sicuramente vita facile con questi quesiti, ma per i profani del genere non sarà semplice venirne a capo. Tutta la pellicola infatti si basa sul rapporto che lega queste tre entità; i “Mushi”, una sorta di primordiali e misteriose anime della natura, gli uomini, spesso perseguitati dagli effetti che questi spiriti hanno su di loro e Ginko, un “Mushi-shi” appunto, un individuo che vive a contatto con questi esseri sopportandone la possessione. Il ragazzo è l’anello di congiunzione fra le due entità, il suo compito è errare per il Giappone curando gli effetti che i “Mushi” hanno sulla popolazione...
Trattandosi di una riduzione da un manga e successivamente da un anime, sarebbe stato lecito aspettarsi da questa pellicola un ritmo brioso. Conoscendo Ôtomo sarebbe stato corretto attendersi immagini dal grande impatto visivo, giocate sul rapporto, anche duro e violento, fra questi esseri mostruosi, simili a meduse impalpabili e gli esseri umani. "Sarebbe stato" appunto, perché il film risulta piatto e confusionario. La verve della serie animata si perde quasi immediatamente, affogata nel ritmo lento della narrazione e la trama diviene ben presto così intricata da rendere impresa impossibile capirne le svolte e la logica. In una lunghissima presentazione dei personaggi, il regista mette in scena una sequenza di figure con caratteristiche e peculiarità difficili da comprendere e distinguere, un’interminabile carrellata di simboli e iconografie lontane dai nostri codici e quindi di ardua decifrazione. In breve, dopo pochi minuti di film, si è già persi nel mondo fatato di “Mushi-shi”. Senza bussola né mappe, Ôtomo ci lascia naufragare fra pesci candidi dal mutevole numero di occhi, donne dal tocco fatato, cercatori di arcobaleni e bimbi prodigio. Un folle bestiario del Sol Levante che lascia spiazzati. Chi si aspettasse dunque da questo film una pellicola dall’"anima di un anime" resterà decisamente deluso.
Appare ovvio, dunque, come l’attenzione del regista si sia concentrata principalmente sulla messa in scena, sulla ricostruzione di ambienti e atmosfere, sulla creazione di esseri e creature affascinanti e misteriose. Anche in questo caso, però, il risultato non è del tutto soddisfacente. L’atmosfera cupa e opprimente, dominata da boschi dai colori autunnali, riproduce fedelmente l’animo delle genti che popolano il film, spesso povere e sempre oppresse da questi “Mushi”, ma stanca facilmente l’occhio dello spettatore. All’inseguimento di queste forme embrioniche, Ginko attraversa boschi fatati, laghi tinti di un verde pallido e paesi grigi, un mondo spento. Così anche le trovate per materializzare gli effetti di queste creature risultano non sempre efficaci o vincenti. _ Certamente geniale appare però la caratterizzazione di Nui, giovane “Mushi-shi” che per liberarsi della possessione trasforma gli esseri in versi, tramandando proprio i racconti sui “Mushi”. Non è un caso che alcune delle sequenze più avvincenti del film riguardino proprio Nui; le parole che le scorrono nelle vene fino a mutare in inchiostro, la lotta per liberarla da questi demoni sono un esempio delle potenzialità inespresse di questo soggetto. Se il resto della pellicola mantenesse il ritmo e la forza di queste scene, potremmo certamente avvicinarla ad Akira, capolavoro di Otomo. Fra demoni e spiriti, anima e anime è però la nostra attenzione a fuggire, persa nei boschi...

(Mushi-shi) Regia: Katsuhiro Ôtomo sceneggiatura: Katsuhiro Ôtomo, Sadayuki Murai interpreti: Joe Odagiri, Makiko Esumi, Nao Omori, Yu Aoi origine: Giappone durata: 131’


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