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Venezia 70 - Future Reloaded

Pubblicato il 28 agosto 2013 da Giovanna Branca


Venezia 70 - Future Reloaded

Que sera, sera (whatever will be, will be): come per il futuro di ciascuno di noi, i giorni a venire del cinema sono carta bianca che attende di essere scritta. Riflessione scontata, ma forse l’unica possibile di fronte alla richiesta di esprimersi, in un’epoca di grandi mutamenti tecnologici e non solo, sul futuro della settima arte. Questo hanno fatto i 70 registi chiamati a celebrare il settantennale della Mostra del cinema di Venezia con un cortometraggio a testa, poi montato nella grande opera collettiva che è Venezia 70 - Future Reloaded, in apertura di questa settantesima edizione del Festival veneziano.
I nomi dei registi arruolati nella celebrazione sono illustri quanto sono numerosi e com’è prevedibile il loro pensiero va soprattutto alle nuove tecnologie, a come il cinema convive e interagisce con i nuovi media (Antonio Capuano e la sua opera senza titolo), e alla necessità di ricordare e omaggiare il passato che l’ha reso grande, nonché quegli strumenti “tattili” come la moviola o la pellicola che se un tempo erano il cinema per antonomasia oggi si trovano “sul viale del tramonto”, oggetto ormai di amore feticistico più che mezzo necessario per produrre immagini in movimento. Ermanno Olmi, con il suo nostalgico La moviola, ben rappresenta quest’ultima tendenza. Ma anche l’omaggio ai grandi è molto quotato: Abbas Kiarostami riproduce attraverso il “punto di vista” di un bambino – un cinema appena nato e pronto ad emozionarsi facilmente – una delle più celebri e antiche gag cinematografiche, L’innaffiatore innaffiato; Shirim Neshat omaggia Ejsenstejn con una sintetica ricostruzione di Ottobre e La corazzata Potemkin. Ed infine Peter Ho-Sun Chan sintetizza questa nostalgia montando una carrellata di foto dei maestri che ci hanno lasciati – da Orson Welles a Charlie Chaplin, Da Rossellini a Griffith – titolandola The Future Was In Their Eyes.
In tanti sono anche ironici verso questa nostalgia che ha caratterizzato la settima arte fin dai suoi albori: in The End Samuel Maoz rappresenta il cinema come un vecchio uomo morente che vuole un’eutanasia e lamenta il passaggio al sonoro ed al colore come prime macchie su una supposta purezza originaria, per poi parodiare la multimedialità delle odierne opere d’arte.
Ma il cinema non è solo nostalgia ed un futuro incerto: è amore, scoperta di se e degli altri, di mondi mai visti. Per Davide Ferrario è una Lighthouse, un faro; un carrello verso l’alto che si allontana da una proiezione all’aperto di un film di Buster Keaton per inquadrare un’intera città, metafora di un’umanità illuminata dalle immagini bidimensionali che si materializzano su uno schermo bianco.
L’esperienza soggettiva offerta da questa come tutte le altre arti è messa a fuoco da Atom Egoyan, che in The Butterfly rende il pubblico partecipe della decisione di fare posto sulla memoria del suo smartphone cancellando le riprese fatte ad una mostra fotografica. Ciò che andrà perduto non sono certo le foto, ma il suono dei suoi passi sul pavimento del museo; quella traccia della fruizione personale dell’arte che il breve filmato portava con se.
Per Bernardo Bertolucci il cinema è forse diventato una sfida come l’esperienza di spostarsi nella città eterna, sui sampietrini romani, immobilizzato su una sedia a rotelle. Con amara ironia evoca nel titolo del cortometraggio, Scarpette Rosse, il capolavoro sul mondo della danza di Powell e Pressburger ed allo stesso tempo l’ottimismo di una fantasia pronta a piroettare ma imprigionata nel pessimismo della ragione, di una condizione materiale. La sua come quella del cinema italiano.
Interpellato sul cinema ed il suo futuro Kim Ki Duk decide di presentarci sua madre, immortalata nella semplice (ma faticosa) peripezia di preparare da mangiare per il figlio invitato a pranzo.
Franco Maresco omaggia il Festival con uno dei suoi “mostri” siciliani; James Franco si esprime sul futuro del cinema facendo autoironia e titolando il suo corto James Franco – The Future of Cinema. Così pure Catherine Breillat scherza sul fatto che i giovani preferiscono “un film per non pensare” ai lavori “noiosi” della Breillat.
E la lista è ancora lunga: Fedorchenko, Amos Gitai, Monte Hellman, Pablo Larraìn, Brillante Mendoza,Edgar Reitz, Walter Salles, Paul Schrader, Jean-Marie Straub, Todd Solondz e tanti altri. Alcuni ce li saremmo evitati, come Placido che pontifica sul fatto che i giovani italiani non sono abbastanza arrabbiati per fare buon cinema, ma tanti sono delle piccole perle.
E non è un caso se la canzone più utilizzata come colonna sonora (in ben due corti) è Que sera sera di Doris Day : del doman non v’è certezza. L’unica cosa certa è che il cinema è amore. Un amore umano troppo umano, e fatto da esseri umani, nonostante la corsa in avanti della scienza. Ben sintetizzato dalla riflessione di Tariq Teguia nel suo Le cinèma: “il cinema di domani ancora dirà: qui c’è qualcuno”.


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