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Vinyan – Venezia 65 – Fuori Concorso

Pubblicato il 2 settembre 2008 da Luca Lardieri


Vinyan – Venezia 65 – Fuori Concorso

Gli occhi della bellissima Emmanuelle Béart sono velati da una triste luce. La sua bocca carnosa è rimasta intrappolata in una smorfia di sofferenza, il suo corpo sinuoso è straziato dal dolore. Un dolore lancinante, specchio di un limbo privo d’emozioni positive, che solo una madre, derubata dalla presenza del figlio può conoscere.
La splendida attrice francese dà così vita a Jeanne, la quale vive da sei mesi a Phuket insieme a suo marito, Paul, nel disperato tentativo di ritrovare il suo piccolo Joshua, rapito dallo Tsunami che li ha sorpresi mentre erano in vacanza in quel posto esotico. Ciò che doveva essere un attimo di gioia da condividere in famiglia si è trasformato in un incubo senza via d’uscita. Ma Jeanne non si vuole rassegnare all’evidenza, il corpo di Joshua non è stato mai ritrovato e per la donna, in realtà, il figlioletto è stato rapito da dei trafficanti di bambini, che avrebbero approfittato del caos post catastrofe per portarlo via. Quando durante una cena di beneficenza alla donna sembrerà di riconoscere l’immagine del figlio all’interno di un documentario girato in Birmania, questa convincerà il marito a finanziare una spedizione attraverso i villaggi della giungla thailandese alla ricerca del loro piccolino.
Comincia così un viaggio che si trasformerà in allucinazioni dal piglio carontiano, sospese tra sogno, incubo e subconscio che sfoceranno in un finale splatter, con l’intento di giungere come un colpo allo stomaco capace di far provare (seppur in minimissima parte) il dolore causato dalla perdita di un figlio.

Un film visionario ed estremamente intimista che gioca con le corde del dolore cercando di mettere in scena ciò che non si può vedere, trasformandolo in qualcosa di disturbante alla vista, qualcosa che l’occhio non riesce a tollerare se non con il filtro di una mano semiaperta apposta dinanzi agli occhi.
Fabrice Du Welz dimostra in più di un’inquadratura di essere un regista dalla vis creativa indiscutibile. La messa in scena sempre molto cupa, trasgressiva ed originale riesce a tenere incollati alla sedia, dando maggior corpo e sostanza ad una sceneggiatura che spesso e volentieri perde qualche colpo. L’intensità espressiva di Emmanuelle Béart viene seguita incessantemente ed estremizzata attraverso movimenti di macchina alquanto singolari. Il senso di smarrimento e di costruzione di una realtà parallela da parte dei due coniugi, travalica lo schermo e giunge diretta a chiunque entri in contatto con quelle immagini ipnotiche e seducenti.
Dopo l’horror cult, Calvaire, del 2004 con cui conquistò pubblico e critica del festival di Cannes, il talentuoso cineasta belga si muove su percorsi più complessi, dimostrando di poter mischiare generi come dramma e brivido per dar vita a suggestioni che possono piacere o disgustare, ma certamente non lasciare indifferenti.


CAST & CREDITS

(Vinyan) Regia e sceneggiatura: Fabrice Du Welz; fotografia: Benoit Debie; montaggio: Colin Monie; musiche: Francois-Eudes Chanfrault; interpreti: Emmanuelle Béart (Jeanne), Rufus Sewell (Paul), Patch Osathanugrah (Thaksin Gao), Ampon Pankratok (Sonchai); produzione: Michael Gentile & Film 4; distribuzione: Wild Bunch; origine: Francia/UK/Belgio 2008; durata: 97’.


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