The Twilight Saga: Eclipse

Chissà se in fondo sarebbe stato lecito attendersi che il terzo episodio di una romantica e miliardaria saga fantasy per adolescenti potesse virare almeno un po’ verso l’horror, data la scelta di un regista come David Slade che già di vampiri ci aveva narrato in 30 giorni di buio. Poiché, al di là di certi proclami sulla volontà di variare il registro, donando una superficie più oscura rispetto a Twilight e a New Moon, è pur vero che una legge non scritta – tale perché forse legata a qualche stereotipo mentale collettivamente condiviso – vorrebbe che il terzo episodio di una serie fosse il più tetro, quello in cui l’eroe, al culmine della propria parabola, si confronta con la parte più torbida e selvaggia di se stesso, posto di fronte a una demoniaca tentazione necessaria affinché egli possa alfine comprendere la propria missione, chi è veramente e che cosa possa ottenere per sé e per gli altri. Estendendo poi il discorso, quanto appena affermato potrebbe riferirsi all’intero progetto di Twilight. In più questo, considerato nella sua totalità, non è che di per sé non possa suscitare alcun interesse; però ormai si è consci di come ciò al massimo riguarderebbe i suoi aspetti produttivi, piuttosto che i risultati strettamente estetici.
Si sarà trattato sicuramente di una mera coincidenza (come si dice da alcune parti, cliccando sulle note di Wikipedia), ossia l’indisponibilità per cause di forza maggiore di Catherine Hardwicke nel continuare il proprio lavoro su Twilight dopo il primo episodio. Fatto è che il successivo New Moon passò di mano giungendo fino a Chris Weitz, il quale dovette a sua volta rinunciare a Eclipse per colpa dei ristretti intervalli di tempo a disposizione tra il suo e quest’ultimo episodio. Tuttavia - a nostro parere - non è che si fossero intravisti chissà quali cambiamenti da una pellicola all’altra, se non certe modalità di utilizzo della mdp, mentre a suo tempo non scorgemmo un occhio diverso al di qua dell’obiettivo. Per cui in entrambi i casi si era fatta notare più che altro la mancanza di personalità, probabilmente messa in un cantuccio dalla prepotente forza dell’apparato produttivo hollywoodiano più retrivo. Simbolo, questo, di un passo indietro per i moderni mezzi di creazione cinematografica.
Perché, alla fine, The Twilight Saga appare come il parente povero di una serie televisiva, visto il modo attraverso il quale la materia narrata viene diluita, anche all’interno di ogni singolo film (un’anti-cinematografica anti-economicità) che inoltre si accompagna a una totale incapacità di seguire, amare e far amare i propri personaggi, per colpa di una scrittura vittima del conformismo e di una cieca fede nei protagonisti del triangolo amoroso portato in scena, divenendo così uno strano mostro mai intravisto fino ad oggi, un essere con due teste, entrambe che guardano in direzioni opposte e probabilmente inconciliabili. In questo scempio non è di nessun aiuto la regia che, per esempio, non sa valorizzare gli splendidi paesaggi, sintetizzando in tale maniera la distanza incolmabile tra Natura e Cultura che in un certo senso attraversa tutta la saga. Perché la lotta tra l’istinto e una (ir)ragionevole castità proprio questo sta a significare, allorché certe nefandezze contenutistiche si riflettono anche sulla mera forma. ’Nefandezze’ solo perché su di esse si insiste sempre più, con risvolti a volte volutamente ironici, mentre in altre occasioni i risultati divengono alquanto fastidiosi. E di questa situazione ne fa le spese principalmente il lato horror (laddove Taylor Lautner durante la conferenza stampa di presentazione del film ha detto che «Io penso che se venissero eliminati l’aspetto appunto dei licantropi e dei vampiri, la storia tutto sommato sarebbe la stessa; anche i personaggi sarebbero gli stessi»), tanto che quasi non si capisce perché sia stato utilizzato, se non magari per far pervenire un effetto straniante del tutto superficiale, dove l’estraneità può essere facilmente addomesticata, divenendo un’inquietudine spenta fin dall’inizio che cammina con gambe mozze, buona per i più piccini cui viene prospettato un mondo rassicurante e, perciò, innegabilmente falso (leggasi l’interessante intervista de ’Il venerdì di Repubblica’ del 18 giugno 2010 a Ignazio Senatore, docente di Psichiatria all’Università Federico II di Napoli, il quale, per quanto riguarda Twilight, espone una sua teoria su «L’amore ai tempi dell’anoressia»).
Lo stesso Eclipse lascia un po’ basiti: da una parte appare più solido rispetto alle pellicole che lo hanno preceduto, soprattutto grazie a una sceneggiatura migliore, prospettando spunti già più interessanti, dal contrasto tra il calore dei lupi e la freddezza dei vampiri all’età verde come momento nel quale si puà sbagliare, «Cambiare idea e ricambiarla»; dal passato di alcuni membri della famiglia dei Cullen, alla possibilità di compiere delle scelte contro un’esistenza ormai immutabile; dalla questione se i vampiri possano avere o no un’anima, alla contrapposizione tra l’amore vero e la passione interessata. Discorsi che comunque riescono a donare una maggiore profondità e che lasciano trapelare un po’ di luce.
Eppure, quasi inaspettatamente, invece che fornire le basi affinché gli episodi successivi possano partire in modo finalmente più sicuro, Eclipse nella seconda parte si perde, dimostrando di non avere ben fisso di fronte a sé il proprio obbiettivo, senza riuscire a far mutare e a dare alcuno scossone al progetto generale. Soprattutto delude il fatto per cui un intero genere, forse il più sperimentale nella storia del cinema, venga completamente depauperato e defraudato, qui ancor più che nei precedenti film: perché sarebbe stato lecito attendersi qualcosa di più in ambito horror da David Slade, che con 30 giorni di buio era stato capace di creare tensione e di realizzare soprattutto un finale struggente, con l’addio tra i ghiacci tra un marito e sua moglie (Eben e Stella Oleson), esibendo passioni più forti, tra l’orrore e la perdita, senza timore di sporcarsi con un po’ di sangue. Ma in fondo lì si parlava di adulti. Così come accade non solo nella strabiliante sperimentazione televisiva, targata HBO, di True Blood, ma anche nella più normale visione teen mainstream della The CW di The Vampire Diaries.
(id.); Regia: David Slade; sceneggiatura: Melissa Rosenberg, tratta dall’omonimo romanzo di Stephenie Meyer; fotografia: Javier Aguirresarobe; montaggio: Art Jones e Nancy Richardson; musica: Howard Shore; interpreti: Kristen Stewart (Bella Swan), Robert Pattinson (Edward Cullen), Taylor Lautner (Jacob Black), Bryce Dallas Howard (Victoria), Xavier Samuel (Riley), Billy Burke (Charlie Swan), Peter Facinelli (Dottor Carlisle Cullen), Ashley Greene (Alice Cullen), Jackson Rathbone (Jasper Hale), Nikki Reed (Rosalie Hale), Dakota Fanning (Jane), Anna Kendrick (Jessica); produzione: Temple Hill Entertainment, Summit Entertainment, Imprint Entertainment; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA, 2010; durata: 121’; web info: sito ufficiale.
