Vallanzasca – Gli angeli del male (Conferenza stampa di presentazione a Roma)

Roma 17/01/11. Ci troviamo nell’Hotel Flora di Via Veneto per assistere all’incontro con il cast della controversa nuova pellicola di Michele Placido, Vallanzasca – Gli angeli del male. La conferenza stampa è stata divisa in due parti: nella prima erano presenti gli attori Kim Rossi Stuart (anche cosceneggiatore), Filippo Timi e Valeria Solarino; nella seconda il regista Michele Placido, l’attore Francesco Scianna e Giuliano Sangiorgi (voce solista dei Negramaro, autori della colonna sonora del film).
Come era facile attendersi, le domande e l’attenzione dei giornalisti sono state rivolte principalmente prima verso Kim Rossi Stuart, splendido protagonista assoluto nei panni del bandito Renato Vallanzasca, e poi verso Michele Placido.
Conferenza stampa con Kim Rossi Stuart, Filippo Timi e Valeria Solarino.
Una domanda per Kim Rossi Stuart: quali sono stati i tuoi rapporti con Renato Vallanzasca? Vi siete visti, lo hai studiato in qualche modo?
K.R.S. Ci siamo visti sette, otto volte, prima dell’inizio delle riprese. Ovviamente è stato per me un appoggio molto importante. Lo sforzo che ho dovuto fare è stato cercare di immaginare cosa era stato il Vallanzasca di trenta, quarant’anni fa, cercando di intuire quel suo germe di follia.
Vallanzasca ha fatto le cose che ha fatto, poi ha compiuto un percorso esistenziale in cui ha riconsiderato il suo passato. In qualche modo non le ha mai espresso il timore che un film come questo, il quale si concentra solo su una parte della sua vita, potesse oscurare questo suo percorso?
K.R.S. No: di questo, devo dire la verità, non ne ha mai parlato; anche se, soprattutto dai dialoghi che ha avuto col regista Michele Placido, più di una volta li ho sentiti affrontare l’argomento, per realizzare un film equilibrato che non avesse la presunzione di giudicare.
Cosa pensate di quegli esponenti di quel grande partito di governo che chiedono di non andare a vedere il vostro film? Questa cosa vi preoccupa, vi da fastidio?
K.R.S. Penso che questa cosa cominci a essere ripetitiva e noiosa. Quello che penso l’ho detto più di una volta negli ultimi mesi e ora lo riassumo qui: ma è possibile che vi sia questo tipo di accanimento nei confronti di uno che trentacinque anni fa era un ragazzino, pericoloso, tutto quello che volete, ma che, metaforicamente, si era alzato in piedi e aveva detto ’Io sono un fuorilegge: vado a rapinare le banche e se mi sparano mi devo difendere’, una cosa che, ovviamente, è riprovevole e certamente non giustificabile. Però ha pagato, passando una vita in carcere. Mentre c’è gente che ha l’ipocrisia di alzarsi in piedi e di prendersela con tutta se stessa e di indignarsi davanti a lui, mentre magari è la stessa che non si indigna di fronte a fenomeni come la speculazione edilizia che genera stragi e morti. Facciamoci una bella risata su questo tipo di esternazioni. Adesso non sta parlando un attore che vuole vendere un film: non mi interessa, non è il mio mestiere. Un film è un’altra cosa: un film può essere bello o brutto, noi possiamo essere bravi oppure no, è un altro discorso. Detto questo non si può invece dimenticare che ci sono dei parenti delle vittime che hanno tutto il diritto di vigilare e anche di avere i nervi scoperti su di una cosa che ha loro condizionato la vita e che non si sentono di avere, diciamo, una sorta di approccio cristiano al perdono, di pietas, nei confronti di una persona che quaranta anni fa ha commesso dei delitti.
Non pensa che debbano essere condannate entrambe?
K.R.S. Certamente, l’ho appena detto. Parlo dell’ipocrisia di chi si avventa su uno che sta da quarant’anni in carcere e che sta pagando per quello che ha fatto, mentre invece c’è gente che dice ’Io sto nelle regole’ e, in realtà, non ci sta. Lui quarant’anni fa si è alzato in piedi e ha detto ’Io non ci sto alle regole’. E poi c’è gente che dice di stare dentro le regole e crea delle stragi!
Vallanzasca le ha parlato dell’efferata uccisione di Massimo Loi, il 19enne che qui viene interpretato da Filippo Timi? Lui lo ha confessato nell’ultimo libro, di Leonardo Cohen, L’ultima fuga. Le sembra che si possa perdonare?
K.R.S. Gesù Cristo insegna che tutto si può perdonare. Detto questo, non sono io che devo perdonare. In questo caso a me interessava fare emergere il percorso drammatico, tragico, infernale di una persona così ricca di contraddizioni.
Ritengo il film un esempio di cinema italiano finalmente competitivo e all’altezza del mercato internazionale. Volevo chiedervi come avete lavorato? La vostra alchimia sulla scena mi ha ricordato i grandi film noir degli anni ’40 e ’50, tanto che avrebbe potuto chiamarsi anche con un altro nome, rimanendo però sempre una storia di rara potenza e fascinazione.
K.R.S. Ma, eh... Grazie! No, non è una polemica, però almeno si ha un altro punto di vista.
Come non mai il lavoro di gruppo, di sostegno reciproco, è stato molto forte. È una cosa che si dice sempre, ma penso che, dal nostro modo di relazionarci, forse se ne percepisce la sincerità. Vi è stato un continuo supportarci, dato che si è trattato di un’esperienza molto faticosa, veramente ai limiti del possibile: quanto faceva freddo in quel carcere, a San Vittore... E comunque fare cinema in Italia significa fare cinque scene al giorno, che è una cosa inenarrabile, perché ti obbliga a dei ritmi incredibili.
F.T. Fare un film su un dato argomento non significa necessariamente giustificarlo...
Le scene del personaggio che interpretavo, un po’ vero, un po’ inventato, si esprimevano principalmente attraverso il rapporto con quello interpretato da Kim. Io sono molto snob, mi piacciono pochissimi attori e Kim è tra questi. Nel caso specifico Michele Placido, essendo attore, ha un occhio pazzesco per la recitazione: la cosa straordinaria è che ci lasciava spazio per un po’ di improvvisazione; sempre molto attento nel dirci «Questo no», ti crea come una gabbia per poi chiederti di fare uscire le tigri di quello che accade. E questo può accadere se ti fidi dell’altro attore, per cui ogni ciak diventa un’esperienza, della serie «Vai: succederà quello che succederà!».
V.S Attraverso certe polemiche si sposta un po’ l’attenzione dal film; poi certe domande andrebbero rivolte più al regista, poiché un attore interpreta un personaggio a prescindere (sia che sia vivo oppure inventato) e tende a sospendere il giudizio, anzi a non giudicarlo proprio, poiché altrimenti non riuscirebbe a entrarvi dentro, mantenendo quindi un certo distacco. E comunque il film non assolve Vallanzasca.
Come ha preparato il personaggio? Ha incontrato la prima donna di Vallanzasca?
V.S No, non l’ho mai incontrata perché, come si vede nel film, è presto uscita dalla vita di Vallanzasca e a me non andava di disturbarla. Quello che si sa di lei è quello che c’è nel film: in parte è frutto dell’immaginazione del regista e degli sceneggiatori, un po’ ci si è basati su quello che Vallanzasca ha raccontato nel suo libro. Per cui mi sono rapportata a lei come se fosse il personaggio di un film, una donna che si innamora di un uomo e che poi, per un amore più grande, ossia quello verso il figlio, decide di staccarsene.
La scena finale, quando Vallanzasca chiede al carabiniere «Quanti anni hai?» e poi conclude dicendogli «Hai fatto tredici» è vera, è andata così anche nella realtà? Lui si è consegnato per non dare vita a una sparatoria?
K.R.S. Non ti so bene rispondere, perché è un inserimento di Michele. Però mi sembra di ricordare che, nel libro da cui il film è tratto, il succo sia più o meno quello.
Kim è talmente bravo che non si riesce a provare antipatia per Vallanzasca. Lei ha fatto un grosso lavoro sulla psicologia del personaggio: che idea si è fatto di questi due aspetti di Vallanzasca, il lato oscuro e quello del gentleman seduttore?
K.R.S. Affrontando questo lavoro non avevo nessun interesse personale, mantenendo anzi un atteggiamento molto laico. Tu l’hai conosciuto? Io no. Qualcuno vuole dire che volevo farlo simpatico per qualche interesse personale?
Ho percepito quel buco nero che ha molto a che vedere con l’attrazione verso l’oscurità. E la questione che lei ha sollevato è un motivo valido per fare questo film: un personaggio iperbolico, la coabitazione in una persona di questi elementi così contraddittori.
Quali sono state le differenze nella costruzione dei personaggi di Freddo e di Vallanzasca?
K.R.S. Lì partivamo da un libro che già di suo pescava in buona parte dalla realtà e che andava a stuzzicare la mia fantasia e la mia curiosità, proprio perché conoscevo molto bene quel mondo, fin da piccolo: Testaccio, la Garbatella, la Magliana. Per cui dentro di me ho composto quel personaggio in maniera autonoma.
Qui invece ho dovuto fare una ricostruzione per me molto più complicata: si pensi al fatto stesso di lavorare sul milanese. Ho cercato di fare un lavaggio del cervello e, in maniera quasi inconscia, di assimilare: visto che nella fase REM del sonno si acquisiscono meglio le informazioni, mi addormentavo con le cuffiette, con nelle orecchie dei testi in milanese, tra cui canzoni di Jannacci.
E le scene del balconcino e dei giudici sono quelle in cui ho cercato di realizzare un lavoro proprio mimetico, perché erano quelle più famose e mi interessava di aderirvi il più possibile.
Conferenza stampa con Michele Placido, Francesco Scianna e Giuliano Sangiorgi.
In America vengono dati premi a Boardwalk Empire, una serie che racconta di un famoso periodo criminale della storia americana, con personaggi molti dei quali sono realmente esistiti. Quindi negli Stati Uniti il crimine affascina. Perché voi, invece, qui avete incontrato così tante difficoltà?
M.P. Probabilmente ciò è in qualche modo legato alla nostra cultura cattolica che esige sempre di parlare della figura di Cristo, di andare sempre verso la rappresentazione del Bene, al contrario dei Paesi anglosassoni, dove anche la raffigurazione del Male è necessaria. Anche se poi, per certi versi, gli Americani sono molto più puritani di noi: noi non ci scandalizziamo per certi comportamenti sessuali, ma appunto perché un essere umano ha usato la violenza contro altre persone. È giusto lo scandalo, ma non abbastanza da non giustificare che il Male faccia parte dell’Uomo. Da noi ci si scandalizza per il comportamento avuto quarant’anni fa da Vallanzasca, il quale sta pagando con un ergastolo durissimo, mentre non si fa cenno al comportamento dei politici che, soprattutto in questi giorni, si trovano sulle pagine dei giornali: lo scandalo, ora, è solo Vallanzasca. Purtroppo poi la cronaca, il cinema o la letteratura hanno bisogno di continuare a lavorare sul lato oscuro dell’Uomo. Chissà cosa succederà ora che ci sarà una nuova serie su Maniero... La serie Romanzo criminale, poi, è andata molto bene. Da noi ci sono delle persone che usano la morale soprattutto per un tornaconto politico in vista delle elezioni. Invitare a boicottare un film è una cosa orribile: è qualcosa che è stato fatto dal Fascismo. Io non ce l’ho con gli elettori della Lega, ma l’unico film che hanno boicottato fino ad adesso è stato il Barbarossa, che è costato 12 milioni di euro e ne ha incassati poche migliaia.
Questo film, mi pare, è stato rifiutato sia dalla Rai che da Mediaset: personalmente lo trovo piuttosto strano, perché non si tratta del lavoro di un esordiente, ma di qualcuno che aveva già fatto Romanzo criminale, un gangster-movie che non aveva nulla da invidiare ai grandi film americani.
M.P. Però già Romanzo criminale era stato prodotto dalla Warner.
Comunque questo la dice lunga sulla libertà, poiché ormai si sta mettendo il bavaglio a un certo cinema che ha fatto la nostra storia: basti pensare a come Marco Bellocchio non riesca a trovare finanziamenti per il suo prossimo lavoro sul malessere dei nostri politici di oggi. È una notizia di un gravità assoluta, poiché in qualsiasi altro Paese questo sarebbe motivo di orgoglio, avere il coraggio di denunciare e farci un film. Quindi Bellocchio non può fare il suo film; ora sarà costretto a realizzare una serie televisiva, non so. E la stessa cosa è accaduta a Gianni Amelio, che è dovuto andare in Francia per trovare i soldi per il suo film. Io da anni ho un progetto che si chiama Mani pulite, un grande progetto cinematografico: trovatemi ora qualcuno disposto a produrlo. Quando uno rischia un minimo di fare un film controcorrente si trova attaccato.
Romanzo criminale ha avuto un grosso successo ovunque, anche in Francia; Vallanzasca è prodotto, in parte, anche da Canal+. In qualche modo, per quel tipo di cinema di cui lei giustamente lamenta la sparizione, è possibile trovare accordi in particolare con i francesi, i quali da sempre hanno appoggiato un certo tipo di cinema italiano? E voglio chiederle: quindi il cinema italiano, quello dei grandi nomi, deve rivolgersi all’estero per poter lavorare, proprio come l’ultimo dei precari?
M.P. Penso che si debba far partire dall’estero quei progetti che qui, dall’Italia, non partiranno mai. Penso alla Francia, alla Germania, alla Spagna, dato che in Europa ci sono delle agevolazioni che in Italia, purtroppo, in questo momento non ci sono. Ne ho parlato anche con altri colleghi. Sappiamo che la Tax credit scadrà verso il mese di giugno, dopo di che ci saranno dei problemi per chi vorrà contare su un minimo di agevolazioni per poter realizzare un film un po’ diverso. Però se partiamo dalla Francia (e il mio prossimo film sarà francese, anche se non si tratta di un film scomodo, ma di genere) mi viene in mente l’idea, per esempio, di far partire Mani pulite sempre dalla Francia, trovando un produttore europeo.
Scianna ha lavorato in un film di Tornatore, Baarìa, ossia un esempio di un certo tipo di cinema che alleva attori che non sono votati – con tutto il rispetto – solamente alla commedia, ma che riprendono una tradizione italiana. Come è stato il passaggio da un iperperfezionista come Tornatore a un cineasta viscerale e passionale come Placido che, invece, è molto più libero nel suo spaziare attraverso i generi, nel suo sperimentare?
F.S. Per me è stato bellissimo avere l’opportunità di lavorare con Michele: apprezzavo molto il suo lavoro, non ci era mai capitato di incontrarci professionalmente, quindi lui mi ha chiamato per me è stata una gioia immensa. Anche il resto del cast è composto di attori bravissimi. Quindi ho approfittato di questa opportunità per divertirmi, per imparare da Michele.
Credo che Tornatore, specialmente nei film siciliani, abbia una griglia molto precisa e quindi il suo è un lavoro che mi viene da paragonare con quello fatto con Ronconi a teatro: c’è proprio un pentagramma da rispettare. Con Michele è bellissimo perché è un regista che ti guida molto con la pancia: quindi può anche non dirti necessariamente ’Questa cosa va fatta così’; ti guarda, magari ti dice una cosa che non c’entra niente con la scena di quel momento, ma ti trascina dentro l’atmosfera, una cosa molto difficile, poiché stiamo parlando di personaggi complessi, anche lontani da quello che siamo noi. E quindi è una forza che ti guida, incontrollata, che ti porta a tirare fuori quell’aspetto animalesco che tutti teniamo a bada dentro di noi. Per cui l’esperienza è stata completamente diversa, con un abbandono maggiormente legato all’istinto.
Giuliano, ci puoi raccontare come è andata la collaborazione con Michele?
G.S. C’è stata molta libertà. In Italia è molto più difficile lavorare con tale libertà su di una colonna sonora per un film come questo, di genere. Abbiamo scelto noi di non utilizzare musiche di quegli anni: abbiamo lavorato ex novo, con il nostro suono, su quello che ci trasmettevano le loro facce, le loro grandissime interpretazioni. Abbiamo cercato di riportare in musica delle azioni che sono successe in un determinato momento storico, trasformandole in quello che poteva essere il nostro sentire attuale.
Non credo che in questo film vi sia alcuna apologia: credo che tratti di morte, della autodistruzione di chi cerca di essere sempre di più, di volere sempre qualcosa di più rispetto agli altri, in un egoismo estremo e anche edonista.
M.P. Un sacerdote a Venezia mi ha detto che è un film molto più morale e che vederlo ai ragazzi fa bene.
G.S. Difatti non abbiamo voluto una musica che fosse quella degli anni Settanta, dove le azioni rappresentate fossero riconducibili solamente a quel periodo storico, come se si trattasse di un mostro soltanto di quel momento. I mostri ci sono ancora oggi, vi sono dei crimini incredibili.
Placido, nelle note di regia tu parli di quattro revisioni, per un lavoro molto lungo e faticoso: puoi spiegare meglio casa è accaduto?
M.P. Una domanda un po’ più pungente me l’ha fatta un tuo collega che mi ha chiesto i motivi per cui Purgatori a Venezia ha ritirato la firma. Dovete sapere che la prima versione che mi fu consegnata dalla produttrice Elide Melli era una sceneggiatura scritta da Angelo Pasquini, con cui ho scritto ben tre film: Un eroe borghese, Le amiche del cuore e Il grande sogno. Ho letto la sceneggiatura, poi ho detto di no al film: non volevo occuparmi del personaggio di un bieco assassino, avevo paura che ci fosse il pericolo di giungere a un film fine a se stesso. In seguito è intervenuto Kim Rossi Stuart, che mi ha chiesto di calarsi in questo personaggio, poiché aveva bisogno, proprio attorialmente, di compiere questo viaggio attraverso il Male, per capire cosa accade a un ragazzo giovane che segue questo percorso. Al che io gli risposi: «Va bene, ti do una mano. Però riscriviamo una nuova sceneggiatura» perché quella di Purgatori non era giusta nei confronti di chi avrebbe dovuto interpretare il personaggio e non si adattava alla personalità di Kim. Per cui abbiamo ripercorso questo personaggio assieme al libro di Vallanzasca, mentre Kim lo incontrava periodicamente; io non ho partecipato ai loro incontri, perché volevo mantenere una certa distanza. Poi ci siamo ritirati in campagna.
Prima ancora sul copione c’era stato l’intervento di due giovani, tra cui Toni Trupia, dopo la prima stesura di Purgatori. In seguito c’è stata un’altra sceneggiatura, scritta da me e Kim con l’aiuto di Antonio Liotti. Dopo quest’ultima stesura c’è stata quella definitiva, realizzata solo da me e Kim, perché, dopo i decisivi incontri tra lui e il vero protagonista, Renato Vallanzasca, sono venuti fuori i dialoghi del film. E proprio i dialoghi sono le parole di Vallanzasca.
Vallanzasca in qualche modo dice, attraverso i giornali, che si è sentito tradito dal mio film, perché l’ho tratteggiato un po’ troppo cattivo, meno sorridente di quello che lui fosse in realtà. Ma naturalmente io gli ho detto: «Caro Vallanzasca, io sconti non ne faccio». E poi la mia visione del film è nata in base alla sua autobiografia, ai suoi colloqui con Kim e ad altre ricerche che io ho fatto. E penso che ne sia uscito fuori un personaggio estremamente violento e duro, un personaggio che in quei sei mesi ha raggiunto veramente la follia. Ma poi devo dare atto che c’è anche la sua espiazione: e l’espiazione c’è in tutti gli esseri umani. Lo dice pure il Vangelo che l’uomo si può redimere. Se gli togliamo anche questa speranza, allora è la fine. La Chiesa la dà questa possibilità. E noi uomini dobbiamo applicare lo stesso tipo di atteggiamento: e noi siamo andati in questa direzione.
Conferenza stampa di Vallanzasca – Gli angeli del male a Venezia 67
